Ieri mattina assai interessante lettura dei giornali. L’insieme delle notizie dà infatti conto con particolare evidenza non solo dell’attualità, ma di processi innescati da lungo tempo e che ora stanno arrivando a coronamento. Ancorché osservati, ahimè, con colpevole disattenzione anche da chi pure era tutore delle vittime designate: la sinistra, riformisti e neocentristi compresi, e la democrazia. E pensare che l’obbiettivo era stato annunciato persino con clamore.
Inutilmente, perché in molti quel processo l’hanno scambiato addirittura per progresso. Comincio con elencare le notizie:
1) Marco Minniti, ex dirigente del Pci calabrese, da ultimo ministro degli interni paladino della guerra ai migranti, ha abbandonato la poltrona di deputato per sedersi su quella, ben più “modesta”, di presidente della neonata fondazione “Med-Or”, definita “ponte fra l’Italia e il Medio e Estremo Oriente”, che farà capo per il 30% al ministero dell’economia che oggi gestisce le azioni dell’ex Finmeccanica e per il resto – indovinate? – alla Leonardo, azienda pubblica specializzata in armi sofisticate e cybersecurity, oggi assai gettonata, ed è da lì che arriva il ministro Cingolani, scelto (spero solo per disinformazione) da Grillo, e accolto con entusiasmo da non pochi, fieri di aver potuto affidare a uno specialista di nanotecnologie (utile per fare droni, non molto per riparare l’ecosistema) il comando della battaglia contro il disastro della Terra.
Adesso sappiamo che si comincerà la transizione ecologica da quella zona del globo – che il Washington Post, sempre oggi, definisce “il bar di Guerre Stellari” (la battuta, già sulla bocca di tutti, è del vignettista del manifesto, Corvi). Con Minniti e i droni, per l’appunto.
2) Rintraccio anche fra le tante notizie economiche un prezioso documento dell’Eni, la nostra più potente azienda a partecipazione statale, nel quale l’amministratore delegato dell’ente, Claudio Descalzi, informa dettagliatamente gli azionisti del Piano energetico ‘20-’24 in vista della totale decarbonizzazione prevista per il 2050. Un Piano “realizzabile”, precisa Descalzi, per far capire che i manager fanno sul serio gli ambientalisti solo delle chiacchiere.
Non posso entrare nel merito perché si tratta di molte pagine e nei prossimi giorni la nostra TaskForce “Natura e lavoro” fornirà un’analisi più autorevole della mia. Vi basti un punto solo, ma indicativo: il petrolio si continuerà a produrre alla grande (i 14 grandi progetti prevedono un aumento del 70%), e l’energia verrà veicolata via gas e idrogeno verde e blu – la soluzione cui con coraggio e intelligenza si è opposta la sezione Cgil d Civitavecchia, uno degli snodi essenziali – ma in compenso la CO2 verrà stoccata sottoterra (e speriamo che Dio ci assista). E comunque, vengono informati gli interessati, le azioni conosceranno un incremento dell’8 %.
3) A capo della Leonardo regna Alessandro Profumo, già presidente di Unicredit, poi mandato a occuparsi del disastro Monte dei Paschi di Siena, ora in attesa. Insomma: uno del giro di quelli che vengono chiamati “servitori dello stato”.
Vengo alla conclusione che mi costringe a tornare indietro di quasi 50 anni. Nel 1973 venne battezzata a Tokio una nuova formazione, inventata da Kissinger e Rockfeller, la Trilateral, membri gli Stati Uniti, il Giappone, l’Europa. I tre big di allora, la Cina nessuno pensava che sarebbe scesa in capo a rendere più complessa la storia del capitalismo (e, diciamo la verità, anche del socialismo).
Dall’incontro giapponese uscì una solenne dichiarazione che prendeva le mosse dall’analisi di quanto era accaduto nel decennio precedente: grandissime lotte operaie e studentesche in tutto il mondo, i continenti colonizzati per secoli finalmente entrati sulla scena politica: per la prima volta il potere stava avendo paura. E lo disse a chiare lettere: in questi anni si è moltiplicato il disordine, si è diffusa troppa democrazia, il sistema non se lo può permettere. L’economia è cosa troppo delicata per lasciarla nelle mani della politica, dei parlamenti. Serve affidarla agli esperti.
Fu allora che entrò in scena la magica parola “governance”, quella con cui venivano denominati i CdA delle imprese, a differenza dei governi che presuppongono l’esercizio della sovranità popolare, almeno nei paesi democratici. Tanto piacque tuttavia quella parola, che era in realtà ben più di una parola, un concetto, che tutti cominciarono da allora a infilare nei propri discorsi, a proposito e a sproposito. Senza curarsi del fatto che via via le decisioni importanti passavano di mano: non più degli organismi democraticamente designati, cioè della politica, ma in quelle dei manager.
Non è una storia solo italiana, naturalmente. Noi, però, come sempre, istituzionalizziamo le anticipazioni. Questo governo ne è un esempio: abbiamo messo un po’ di ministri e sottosegretari a fare corona, e i managers li abbiamo infilati parte al governo, parte, moltiplicandoli, tenuti fuori ma in realtà promossi. È un passaggio non da poco. I grillini farebbero bene a buttare le poltrone recuperate col taglio dei parlamentari, sul mercato valgono ormai poco.
E forse sarebbe bene non perder tempo a prendersela con la sottosegretaria alla cultura perché non legge o per altri fattarelli analoghi. E invece organizzare sul serio un movimento che esiga da tutti questi extraparlamentari – Minniti, Descalzi, Profumo, eccetera eccetera –che vengano a spiegarci, nei dettagli, cosa intendono fare. (A che serve se no discutere del Recovery Plan, se poi l’Eni, o l’Enel, fanno come gli pare, e noi non sapremo nemmeno dove andrà a sedersi Minniti nel “bar delle guerre stellari”?).
* Fonte: Luciana Castellina, il manifesto
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