In una delle sue lettere scritte dal carcere di Skien, il terrorista norvegese di estrema destra Anders Behring Breivik si rivolgeva così a Beate Zschäpe, appartenente alla cellula neonazista tedesca Nationalsozialistischer Untergrund (NSU): «Siamo le prime gocce di pioggia che preannunciano l’arrivo di una tempesta purificatrice in Europa. Nei prossimi anni sempre più europei riconosceranno il nostro sacrificio».
La missiva risaliva al 2012, e da allora le «gocce» del terrorismo di estrema destra si sono intensificate parecchio sia in Europa che nel resto del mondo.
In certi ambienti, poi, lo stesso Breivik è diventato una sorta di «martire» che ha indicato la via e ispirato altri giovani occidentali a prendere le armi per punire i «traditori» della «razza bianca».
Quel che è peggio è che i numeri sembrano dargli ragione. Come ha rilevato l’Institute for Economics and Peace (IEP, un’associazione australiana che traccia e analizza la violenza politica in tutto il mondo) nel suo ultimo Global Terrorism Index pubblicato lo scorso novembre, gli attentati ispirati dall’ideologia di estrema destra sono aumentati del 320% dal 2014 al 2018.
Lo studio conferma indirettamente un altro rapporto sull’estremismo politico negli Stati Uniti, stilato nel gennaio del 2019 dall’Anti-Defamation League.
Secondo l’ong americana, nel 2018 i cosiddetti «terroristi domestici» hanno ucciso almeno 50 persone (in aumento rispetto al 2017) e sono tutti «ascrivibili all’estrema destra o hanno un legame con movimenti riferibili a quell’ideologia».
Nel presentare lo studio dello IEP, il fondatore Steve Killelea ha definito particolarmente «preoccupante» questo incremento, proprio perché parte da numeri più bassi rispetto alla violenza di altre matrici politiche ed è strettamente legato all’aumento di discorsi e crimini d’odio nelle società occidentali.
Per quanto poi non si tratti di un fenomeno inedito nel dopoguerra, sono le sue caratteristiche di base ad essere profondamente mutate. Anzitutto, a contare di più è l’affiliazione ideologica che l’appartenenza a un gruppo strutturato; non a caso gli attentatori dell’ultima decade hanno agito principalmente da soli, pur avendo una rete di contatti – specialmente online – ed essendo inseriti in un determinato ambiente culturale.
Restando negli Stati Uniti, una differenza cruciale rispetto al terrorismo domestico degli anni ‘90 è riscontrabile anche nelle motivazioni e nei bersagli. Come spiega a il manifesto David Neiwert, autore del saggio Alt-America (minimum fax) nonché uno dei massimi esperto di destra radicale americana, quell’ondata di violenza politica culminata nell’attentato di Oklahoma City del 1995 si inscriveva nel cosiddetto «movimento delle milizie».
Tant’è che la preoccupazione principale dell’attentatore Timothy McVeigh – un suprematista bianco che per l’appunto faceva parte di una milizia – era il governo federale, mentre «razza» o «multiculturalismo» rimanevano sullo sfondo. «Voleva colpire il governo e vendicarsi di Waco e Ruby Ridge», dice Neiwert, ossia di due famigerati assedi (risalenti al 1992 e al 1993) da parte delle autorità federali finiti in una carneficina.
Citando invece i recenti casi di Charleston, Charlottesville e Pittsburgh, il giornalista statunitense sostiene che «l’attuale ondata di terrorismo di estrema destra è volta soprattutto a colpire immigrati, attivisti di sinistra ed ebrei. È quindi molto più apertamente razzista e antisemita del vecchio movimento delle milizie. Queste persone vogliono una guerra razziale, e agiscono per farne scoppiare una».
In un riquadro del genere, il massacro alla moschea di Christchurch (Nuova Zelanda) del 15 marzo 2019 è stato davvero uno spartiacque.
Da un lato, in quell’attentato sono confluite molte tendenze dell’estrema destra contemporanea: l’uso di un linguaggio mutuato dall’alt-right, pieno di meme e shitposting; la «gamification del terrore» con la trasmissione in diretta della strage su Facebook; e la pubblicazione di un manifesto volto a sollecitare altri atti di violenza.
Dall’altro, afferma Neiwert, Christchurch ha fatto capire a chiunque che «questo fenomeno è globale»: «ovviamente si manifesta in diverse forme, ma il tratto comune è che questi giovani bianchi sono imbevuti di idee radicali e teorie del complotto prese in giro da varie fonti su Internet, la maggiore delle quali americane».
A tal proposito, il mito della «grande sostituzione etnica» – o del «genocidio dei bianchi» – è saldamente alla base degli ultimi massacri e compare nei manifesti degli attentatori di Christchurch, El Paso, Poway e Halle (in Germania). L’autore americano la descrive come «la paura dei bianchi di perdere le loro posizioni di privilegio, che porta a negare i cambiamenti demografici in Europa e America e non accettare la presenza dei ‘non-bianchi’ nelle nostre società. Di fronte a ciò, queste persone rifiutano di adattarsi e reagiscono violentemente».
Secondo il rapporto dello IEP, un altro fattore che ha contribuito all’incremento della violenza suprematista e di estrema destra è anche la sottovalutazione da parte delle forze di sicurezza, maggiormente impegnate a contrastare il terrorismo jihadista, e anche dei media mainstream.
Per il resto, è difficile prevedere se nel prossimo decennio ci sarà o meno un aumento di questo tipo di attentati di estrema destra. Il vero problema è che il livello di violenza è già alto adesso. Ma se non altro, conclude Neiwert, «ogni massacro aumenta la consapevolezza del pericolo tra le persone comuni. Ci si accorge cioè che c’è qualcosa di sbagliato, che va affrontato con decisione, e che bisogna decisamente cambiare la rotta».
* Fonte: il manifesto