Dalla firma degli Accordi di pace, in Colombia, sono stati 583 i giornalisti minacciati e la risposta dello Stato è risultata inadeguata, per non dire inesistente. Questa amara constatazione proviene dalla Fundación para la Libertad de Prensa (Flip), che da poco ha reso pubblico il rapporto “Callar y fingir, la censura de siempre”, il cui titolo è inequivocabile. In un’intervista rilasciata al quotidiano El Espectador, Jonathan Bock Ruiz, direttore della Flip, imputa al governo la persecuzione contro gli operatori dell’informazione.
Secondo Palacio Nariño in Colombia non esiste alcun tipo di censura e non sta accadendo niente di particolare, constatano i giornalisti, denunciando inoltre la profonda antipatia della polizia nei loro confronti poiché, secondo le forze dell’ordine, la stampa non perderebbe occasione per mettere in cattiva luce i militari. In generale, è certo che i reporteros non godono di particolari attenzione da parte dello Stato. Negli ultimi quattro anni i giornalisti licenziati sono stati circa 1.100 e questo ha finito per incidere, in maniera negativa, sulla pluralità dell’informazione, requisito necessario per la circolazione delle notizie.
A questo proposito ha lasciato sconcertati il caso di Juan Pablo Bieri, il direttore del gruppo di media pubblici RTVC, che ha dichiarato senza alcun problema di voler chiudere (in realtà il verbo originale utilizzato è stato matar, uccidere) il programma Los Puros Criollos per le opinioni espresse dal presentatore Santiago Rivas. Il clamore suscitato dalle dichiarazioni di Bieri ha fatto sì che il direttore tornasse sui propri passi, ma la chiamata del presidente Iván Duque, che lo ha voluto nel suo staff della comunicazione, ha rappresentato un segnale più che evidente di come la pensasse la più alta carica del paese sullo scandalo in cui era rimasto coinvolto lo stesso Bieri.
La Flip ha sottolineato che ben 66 giornalisti sono stati aggrediti nell’ambito dei 40 giorni del paro nacional contro il paquetazo di Duque. In questo contesto 19 operatori dell’informazione sono stati fermati illegalmente dalla polizia, ritenuti “colpevoli” di aver coperto le manifestazioni legate allo sciopero. Secondo la Fundación para la Libertad de Prensa tra i fatti più gravi del 2019 vi è l’omicidio di Mauricio Lezama, che stava lavorando ad un documentario su un militante di Unión Patriótica, sopravvissuto ad un attentato negli anni Ottanta, e l’uccisione di Libardo Samaniego, il quale sosteneva l’urgenza di compiere passi avanti a proposito del processo di pace. E ancora, tra agosto ed ottobre sono stati ripetutamente minacciati di morte Eduardo Manzano, Fransua Martínez e Alexander Cárdenas, a seguito delle loro inchieste sul diffondersi dei cartelli della droga messicani nel Cauca. Nel mirino sono finiti anche Natalia Cabrera e Pablo Navarrete di RTVC. Tra il 6 e l’11 settembre scorsi la donna ha ricevuto minacce sul suo cellulare, mentre il collega è stato aggredito, all’interno della sua abitazione, da un uomo spacciatosi come fonte confidenziale rivelatosi in realtà l’ideatore di un tranello. Navarrete è stato costretto a cancellare dal computer tutto il materiale raccolto per le sue inchieste giornalistiche, l’unico modo per avere salva la vita. Quanto a Nicholas Casey, corrispondente dalla Colombia per il The New York Times, è stato costretto ad abbandonare il paese il 18 maggio 2019 a seguito delle sue indagini sui casi dei falsos positivos.
Nelle intimidazioni contro i giornalisti talvolta ha giocato un ruolo di primo piano anche la polizia, come è accaduto nel caso di Cerosetenta, una pubblicazione online della Universidad de los Andes costretta ad eliminare la pubblicazione Manual de Autoprotección Contra el Esmad, ritenuta provocatoria e colpevole di incitare alla violenza contro le forze antisommossa dell’esercito colombiano. La Flip ha anche reso noto che il 25 ottobre 2019 la polizia ha sequestrato centinaia di copie dei giornali Entre Líneas e Nostoca, ma non ha risparmiato critiche nemmeno alle guerriglie del paese, indicando sia l’ala dissIdente delle Farc che ha ripreso le armi sia l’Eln come responsabili di sequestri ai danni dei giornalisti.
Se nel corso del 2019 la giustizia colombiana e interamericana hanno compiuto, pur circondati dall’omertà dello Stato, dei progressi per quanto riguarda la denuncia dei crimini contro la stampa, sono almeno 125 i giornalisti uccisi che attendono ancora giustizia. La recente creazione della Unidad Nacional de Protección sembra rappresentare più una misura di facciata che altro. Scrivere, in Colombia, è un mestiere pericoloso.
* Fonte: David Lifodi, La Bottega del Barbieri