I padroni vanno alla lotta di classe

Un intervento sull’ultimo libro di Luciano Gallino: la scomparsa della sinistra genera mostri. Cronache puntuali della guerra a bassa intensità  condotta in questi anni contro la classe operaia

Un intervento sull’ultimo libro di Luciano Gallino: la scomparsa della sinistra genera mostri. Cronache puntuali della guerra a bassa intensità  condotta in questi anni contro la classe operaia

Una breve premessa. Ho letto con ritardo il libro di Luciano Gallino e non ho resistito all’impulso di scriverne anche io, benché Rossana Rossanda, più attenta e tempestiva di me, avesse già scritto e pubblicato sul manifesto del 26 aprile di quest’anno che pubblicava anche un interessante scritto di Fabio Raimondi. Sono un ritardatario, ma su questo libro dovremo continuare a scrivere.
Luciano Gallino ha scritto vari libri importanti e utili, ma questo, scritto in collaborazione con Paola Borgna, è, a mio parere, tempestivo e straordinario e dovrebbero sentire l’obbligo di leggerlo soprattutto le persone, sindacalisti e politici, che si ritengono di sinistra (Luciano Gallino. La lotta di classe dopo la lotta di classe. Intervista a cura di Paola Borgna., pp. 213, euro 12).
La lotta di classe dopo la lotta di classe, perché dopo gli anni buoni dell’offensiva proletaria, oggi, nella attuale gravissima crisi, sono i capitalismi a condurre la lotta di classe, culturale e materialmente violenta, contro il vasto e variegato mondo del lavoro, non solo dipendente. Oggi – scrive Gallino – la classe dei vincitori «sta conducendo una tenace lotta di classe contro la classe dei perdenti. E’ ciò che intendo per lotta di classe dopo la lotta di classe».
Sintetizzare le densissime 213 pagine di questo libro mi è molto difficile. Sarò, inevitabilmente, schematico e parziale. Ma ci provo.
Il punto di partenza è che le classi esistono ed esiste una mondializzata classe lavoratrice in sé, ma che non riesce a essere per sé, mondializzata e con una forte concorrenza interna tra classe operaia dei paesi di antica industrializzazione e quella dei paesi nei quali, anche con la delocalizzazione, sorgono nuove industrie. Questa classe in sé, non riesce ad acquisire soggettività, ad essere per sé, non solo per le difficoltà oggettive, ma anche, e fortemente per deficit di cultura e di politica e anche – va aggiunto – per la fine del timore dell’Urss e della sua influenza sul mondo del lavoro in Occidente.
In Occidente la controrivoluzione ha preso avvio negli anni Ottanta. E su questo fronte si collocano anche gli stati con le politiche fiscali e i tagli al welfare state, l’austerità e, in Italia, con la liquidazione dello Statuto dei lavoratori del 1970. Insomma anche le politiche dei governi sostengono la controffensiva capitalistica. E poi, ancora, non c’è solo la concorrenza tra lavoratori dei paesi poveri ed i nostri, ma anche da noi con la crisi e la disoccupazione si sviluppa la concorrenza tra lavoratore e lavoratore e di qui anche la crisi dei sindacati in Occidente. Crisi dei sindacati e crisi dei partiti di sinistra.
In questa lotta di classe, che sposta reddito dal basso verso l’alto, decisivo è il ruolo dei governi e della trionfante politica dell’austerità. E qui sono evidenti i riferimenti al nostro attuale governo «tecnico» e alla riduzione del lavoro alla categoria «tecnica» di puro costo, prescindendo dalla realtà della persona umana che il lavoro lo fa.
Luciano Gallino è molto netto quando scrive: «Il sistema economico contemporaneo è costruito per generare insicurezza socio economica, compresa quella legata alla previdenza» anche «con la micidiale modifica del metodo di calcolo, da retributivo al contributivo, e i coefficienti di ricalcolo per chi commette l’errore di vivere a lungo».
Gallino analizza e descrive questa «lotta di classe, dopo la lotta di classe» con grande impegno scientifico e con forte passione nelle analisi e nella critica alla nostra cultura e alle scienze sociali e alla politica dominante. Condivido con la ragione e il sentimento lo scritto di Gallino e vorrei concludere con la sua risposta alla domanda su che cosa resta oggi delle idee di progresso e di emancipazione, che hanno segnato la gioventù di molti di noi. «La conseguenze forse più drammatica, che ha effetti gravi sulla persona perché produce delusione, disinganno, a volte rabbia, è la caduta se non la scomparsa di una speranza collettivamente condivisa». E questa crisi, questa caduta di speranza, mi sembra dominare la cultura, la letteratura, la politica.
L’oscuramento della classe per sé produce i mostri oggi in circolazione.

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