Verità  sull’Ilva a tutto vapore

Il ministro Clini annuncia la nuova «autorizzazione» con i valori rivisti. L’azienda promette 146 milioni per la sicurezza, ma solo 50 sono nuovi Ferrante: lavoriamo al minimo. Invece secondo i lavoratori si fanno anche 44 colate al giorno. Per consegnare le commesse

Il ministro Clini annuncia la nuova «autorizzazione» con i valori rivisti. L’azienda promette 146 milioni per la sicurezza, ma solo 50 sono nuovi Ferrante: lavoriamo al minimo. Invece secondo i lavoratori si fanno anche 44 colate al giorno. Per consegnare le commesse TARANTO. Altri 56 milioni da investire per l’ambiente, oltre ai 90 già stanziati. Li ha promessi il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante ai ministri Clini e Passera, ieri a Taranto per il vertice istituzionale a cui hanno preso parte anche regione, provincia, comune, prefetto, autorità portuale e sindacati. I 146 milioni, nelle intenzioni dell’azienda, serviranno ad attuare alcune prescrizioni presenti nell’Autorizzazione integrata ambientale del 2011, l’accordo con la regione sul campionamento perimetrale delle fonti maggiormente inquinanti con l’installazione di centraline lungo il perimetro della fabbrica, e a sostenere non meglio precisate iniziative autonome.

Queste risorse, però, nulla hanno a che vedere con gli interventi che Ilva dovrà effettuare quando le sarà consegnata la nuova Aia, il cui iter dovrebbe concludersi entro il prossimo 30 settembre. La prima riunione tecnica è convocata per lunedì prossimo a Roma. La nuova Aia, secondo il ministro dell’Ambiente, recepirà le disposizioni europee in materia delle migliori tecnologie disponibili e le prescrizioni della gip di Taranto nei confronti di Ilva in base alle indicazione dei periti chimici. Che fanno riferimento alla «decisione di esecuzione della Commissione Europea del 28 febbraio 2012», che stabilisce «le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (Bat, acronimo di best available techniques) per la produzione di ferro e acciaio ai sensi della direttiva 2010/75/UE del parlamento europeo e del consiglio relativa alle emissioni industriali».
Ma queste conclusioni altro non sono che le «Bat» indicate nell’ultima versione del «BRef lron and Steel Production Draft version», il documento tecnico europeo del 24 giugno 2011. Nella nuova Aia ci saranno le norme delle leggi regionali e le decisioni del Tar in merito all’Aia dell’anno scorso. L’unica prescrizione che mancherà all’appello riguarda lo stop degli impianti ordinata dalla gip. Perché l’Ilva non investirà i soldi promessi, se non avrà certezza di continuità nella produzione. Che intanto, dichiara Ferrante, continua anche se in maniera ridotta, ma non per volontà dell’azienda, quanto più per contingenze dovute alla crisi del mercato globale.
Ma alcuni operai raccontano un’altra verità, che non coincide affatto con quella di Ferrante. L’Ilva continua a produrre, e persino a ritmo sostenuto: gli operai parlano persino di 44 colate al giorno, quando la media giornaliera non supera le 17. Il progetto dell’Ilva, sostengono, è semplicissimo: terminare tutte le commesse ancora in sospeso, per poi lasciare l’ultima parola sul futuro dell’azienda alla procura.
La procura a sua volta ha chiarito la sua posizione da tempo: gli impianti vanno tenuti in funzione solo per la loro messa a norma. E non per continuare a produrre, perché si perpetuerebbe il pericolo sanitario per la popolazione dovuto alle emissioni degli impianti posti sotto sequestro, sui quali vigono i sigilli virtuali.
146 milioni da investire, nuova Aia, applicazione delle leggi e degli accordi raggiunti con la regione. Ma i problemi di sempre, non saranno risolti. Perché Ilva, istituzioni e sindacati, ad esempio, continuano a ritenere impossibile la copertura o lo spostamento dei parchi minerari, che si estendono per 80 ettari. Considerando sufficiente il barrieramento (opera per cui Ilva ha investito 8 milioni che porterà all’installazione di una barriera frangivento lunga 2 km ed alta 21 metri) e incrementando la filmatura dei cumuli di minerale con un gel speciale. In pratica ciò che avviene da anni, senza che il problema delle polveri che ricoprono i Tamburi sia mai stato risolto. Basti pensare che il barrieramento comporterà il trattenimento del 50-70 per cento delle polveri pesanti, trattenendo soltanto per il 20 per cento quelle più sottili e cancerogene come il PM 10 e PM 2,5. Non è un caso del resto, se nel triennio 2009-10-11, i limiti di PM 10 siano stati sempre superati.
E sembra un azzardo anche quello avanzato dal ministro Clini sulla risoluzione del problema della diossina. Perché se è vero che nel 2011 l’Ilva ha registrato 0,3 ng/m3 nelle emissioni del camino E312 rispettando il limite di 0,4 imposto dalla legge regionale (che a sua volta ha recepito quanto stabilito nel protocollo di Aarhus del 2004), è altrettanto vero che le campagne di monitoraggio dell’Arpa sono state solo quattro. E che la perizia dei chimici nominati dalla procura ha dimostrato come l’impronta della diossina che ha contaminato i terreni e i capi di bestiame abbattuti a migliaia negli ultimi anni, appartenga agli elettrofiltri posti alla base dell’area dell’agglomerato. Che non sono sigillati e disperdono nell’aria fumi e polveri inquinanti, dando ulteriore ragione alla procura che ha più volte ribadito come l’80 per cento delle emissioni diffuse e non convogliate, provengano dagli impianti a terra. E non dai camini del siderurgico. E invece Ilva e istituzioni ritengono di risolvere il problema con la riduzione delle produzione nei giorni di vento.

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