SULLA RIVA DESTRA, COME IN UN FILM

Alla scoperta del Po/18. In questo fiume “americano” alla Huckleberry Finn càè chi trova la vecchia Russia dei battellieri: la pianura, l’andare illimitato che diventa mare e le oche che ti svegliano. Siamo nel “Mississippi della Bassa”, dopo la confluenza con il Taro. È chiamato così per un odore da Sud ante-guerra di secessione e per le luccicanti balere sulle sponde

Alla scoperta del Po/18. In questo fiume “americano” alla Huckleberry Finn càè chi trova la vecchia Russia dei battellieri: la pianura, l’andare illimitato che diventa mare e le oche che ti svegliano. Siamo nel “Mississippi della Bassa”, dopo la confluenza con il Taro. È chiamato così per un odore da Sud ante-guerra di secessione e per le luccicanti balere sulle sponde

Dopo la confluenza col Taro comincia il “Mississippi della Bassa”. Lo chiamano così forse per un certo afrore da Sud ante-guerradi- secessione che segna la distanza dal Piemonte, per i ruderi insabbiati delle immense draghe a vapore, o per le luccicanti balere sulle sponde. Lombardo a Nord ed emiliano a Sud, qui il Po è largo e potente tra sponde verde mimetico, un boa dormiglione capace di tremendi risvegli, dove pure l’uomo si è fatto sotto con pioppeti industriali, raddoppiando argini, interrando lanche e saldando alla riva grandi isole incantate di nome Maria Luigia, Santa Maria, Fossacaprara.
A pensarci anche il nostro “Gatto Chiorbone”, corto, panciuto e di bompresso minimo, è una barca del Sud confederato, costruita per le lagune della Louisiana e le coste della Virginia. “Ecco perché qui ronza felice tra i salici e le piantagioni” ride Fabio Fiori, vicecomandante del “Gatto”, che da stamane sostituisce capitan Lodigiani al timone. Ci ha raggiunto di notte nella lanca del Ronchetto, sbucando dalla giungla come un vietcong. Con lui, per un attimo, il Po è diventato Mekong, e il nostro imbarcadero la base dei guerriglieri del colonnello Kurtz — Marlon Brando in “Apocalypse now”.
Ma proprio in questo fiume “americano” alla Huckleberry Finn c’è chi trova la vecchia Russia dei battellieri. Marina Rossi per esempio, un’innamorata della steppa e della tajga che dopo aver battuto per anni il Volga, la Neva, il Don e i labirinti lacustri della Carelia, ha scelto di dedicarsi al Po dove ha girato due film. La incontro a Casalmaggiore, è lì che contempla la corrente da un massiccio imbarcadero in ferro, sotto un argine vertiginoso sormontato dal campanile del paese. «Una volta sui battelli russi salivano i pittori e i coristi dei villaggi. Oggi c’è il karaoke per turisti americani. Per questo non ci torno».
Che c’è in comune, chiedo. Risponde: «C’è che a Boretto mi svegliano le oche, come a Soboljeva». E c’è la pianura, i cieli alti, le visioni, l’andare illimitato che diventa mare, le baracche, le feste, le fisarmoniche, l’ospitalità, l’approccio facile con la gente. E poi qualcosa di antico e certamente anteriore al comunismo: la vecchia “Obs’cina”, coltivazione di gruppo della terra, che fa il paio con la “Comunaglia” parmense, introdotta da Maria Luigia d’Austria al tempo dei Lumi. E ancora certi personaggi mitologici, «come Mario detto “Mil-lelitri”, sottoproletario geniale con l’armonica a bocca, capo di un gruppo orchestrale e che vive arroccato in una “dacia” dalle parti di Mezzani».
Ma lo spazio tra Casalmaggiore, Guastalla e la confluenza dell’Oglio si identifica per me con un nome solo: Umberto Chiarini. Umberto non si occupava del Po, lui era il Po. Ne aveva le indignazioni, la passione, l’ironia. Si occupava del rigolo o del colombaccio, ma era capace di formidabili battaglie civili. È morto nella primavera del 2011, il giorno dopo aver brindato alla “sua” vittoria al referendum contro il nucleare e la privatizzazione dell’acqua. Ebbe funerale di fiume, vennero migliaia di persone, e a parlare furono anche i suoi tanti figli adottivi. Perché Umberto ogni tanto portava a casa orfani, sbandati e senza tetto e li nutriva, dava loro un letto e poi li seguiva per anni.
Un giorno mi portò a vedere la golena di Fossacaprara, il suo paese. Era imbestialito perché la gente ci scorrazzava dentro in auto e motocicletta, sputtanando rive, sabbie e boschi, o assordando la fauna selvatica con “rave party” a tutto volume. Poi si calmò, e cominciammo ad ascoltare. Udimmo il picchio verde, il rigogolo e l’upupa. Vedemmo l’albanella in volo radente, il cavaliere d’Italia cercare vermi nell’acquitrino e il gruccione nidificare su una scarpata della sponda. Lentamente la rabbia diventava felicità: ma sì, erano tornati anche il tarabuso e la sgarza ciuffetto. E nei prati intorno si vedevano nuovamente gli aironi guardabuoi che sembravano perduti per sempre. La vita non mollava. E oggi non lo so se quelli del Mississippi sanno quanto hanno perduto con la scomparsa
di Umberto.
Ed ecco Viadana. Quando la conobbi, l’amica Tiziana Zarotti mi prestò una bici e mi vide salire l’argine per discendere in golena a guardare il fiume che cresceva. Quel giorno sentii l’acqua femmina; il Po era “la fiuma”, entrava dolcemente tra i pioppi creando riflessi opalini, mentre i vecchi scommettevano su quanto sarebbe salita. Scrissi endecasillabi sciolti che poi lessi in un teatro pieno. Ma la notte ripresi la bici e tornai d/a solo, a vedere il tumefarsi della corrente con la Luna piena. La strada era già sfiorata dall’acqua. Senza la puzza dei gas di scarico, sentii l’odore primordiale del limo, e senza i rumori del giorno udii il sordo frusciare di Eridano contro gli arbusti. «Ma se sai ascoltare — mi aveva detto l’Umberto — di notte la piena la puoi sentire dal cortile di casa».
Pioppi scuri, monumentali come granatieri. Alex strimpella “Nine hundred miles” alla chitarra, e sulla riva destra tutto passa come un film. Riconosco la baracca del museo dei pontieri, l’albergo che le sta a fianco con la padrona che stira le tovaglie, le case di ramaglie fluviali di quel matto di Re del Po che saltella a torso nudo sul sabbione. Un giorno la piena portò fino ai piloni del ponte di Guastalla le sue fantastiche incastellature con tutta la bandiera di Rifondazione. Lui corse a ricuperarla arrampicandosi nel vuoto e la gente credette a un suicidio. Venne la Polizia con i lampeggianti, gli gridò «Si fermi, la vita è bella», e lui, sventolando la sovversiva bandiera dallo strapiombo, si fece una risata che a Boretto ancora se la ricordano.
(18 – continua)

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