L’AVVENTURA CHE CI PORTA SUL FIUME

Alla scoperta del Po/17 La Lanca del Ronchetto, dove passiamo la notte, è una base da briganti. Sembra che il Po sia stato dimenticato, si dice che qui ognuno scarica ciò che vuole, avvelenando tutto Ora navighiamo su un tappeto mobile regolare con campanili e paesi incollati agli argini. Ma i santuari e le processioni testimoniano di una paura atavica, quella dell’acqua 

Alla scoperta del Po/17 La Lanca del Ronchetto, dove passiamo la notte, è una base da briganti. Sembra che il Po sia stato dimenticato, si dice che qui ognuno scarica ciò che vuole, avvelenando tutto Ora navighiamo su un tappeto mobile regolare con campanili e paesi incollati agli argini. Ma i santuari e le processioni testimoniano di una paura atavica, quella dell’acqua    Durissimo schiodare la barca da Isola Serafini. C’è sempre una scusa per rinviare la partenza. Il trasbordo con la gru, la caccia ai ladri di motori, i racconti di Annibale il concaro. Ora ci si mette di mezzo il vecchio Valentino Cattivelli, che scarica bottiglie di minerale davanti alla trattoria. «Da qualche parte dovrete pur mangiare», butta lì con ruvida nonchalance, e già suo genero Luca sbuca col culatello in braccio, “un bambino che aspetta da due anni di essere mangiato”. E pazienza il culatello, perché in agguato c’è anche un’anguilla marinata con asparagi e cipolla rossa, più una bottiglia fresca di malvasia.
Nessuno direbbe che il buon Valentino è il portinaio di un altro fiume, la Valle del Buonmangiare e del Buoncantare, dove la voce rimbomba nella nebbia tra scarpate artificiali sempre più imponenti; il fiume dei sabbioni e dei maiali, dove senti la paura delle piene. Ora è davvero finito il Po disabitato di Casale, Valenza e Balossa Bigli, libero tra le rapide. Ora è un tappeto mobile profondo e regolare, con campanili e paesi che si incollano agli argini ma che, con santuari e processioni, dicono ancora della paura atavica dell’acqua. È il popolo delle golene — anarchici, matti, briganti e originali — che non riconosce altro Dio che il Po.
Salpiamo alfine, gonfi di cibo e buonumore. Facciamo il pelo all’Adda, rasentiamo l’imbarcadero di Cremona, poi siamo di nuovo liberi e soli nel vento. È tempo di alzare la vela e subito, tra un bordo e l’altro, senza il ronzio del motore, il fiume svela la sua acustica nuova. Le nostre parole risuonano come in un anfiteatro. L’abbiamo capito già nella conca, dove — ci hanno detto — un tempo suonavano anche orchestre intere. A un certo punto Paolo Lodigiani mi affida il timone e
scende sottocoperta a prendere il lettore Cd e gli amplificatori. Stiamo entrando nel Parmense, Busseto è oltre l’argine, e bisogna pur celebrare Verdi in qualche modo. «La rivedrò nell’estasi / raggiante di pallore». Volano gli ardenti settenari di un’Italia perduta, e già gli altoparlanti del “Gatto” sparano i femminei gorgheggi del paggio Oscar tra le solitarie rive.
È una scena del film “Fitzcarraldo”. L’argine risponde: “Alle tre, alle tre!”. Tre di notte naturalmente, nell’antro della maga Ulrica. Siamo soli, col “Ballo in maschera” che echeggia sulle rive deserte, tra Stagno Lombardo e Polesine Parmense, San Daniele Po e Zibello profumata di delizie, e intanto il sole scende in un incendio alle nostre spalle.
“Reggi felice, arridano / gloria e salute a te” canta potente il coro diretto da un giovane Riccardo Muti, e sembra che sia la musica e non il vento a spingere la barca. Lasciarsi portare da un fiume è forse la più perfetta delle avventure. Vano è colui che crede di dominare un viaggio, sottometterlo ai propri voleri. Il viaggio non ci mette molto a farti capire che è lui che comanda; che non sei tu che lo fai, ma è lui a fare te. Ed ecco la magnificenza del fiume che ti porta, e tu non devi fare nient’altro che assecondarlo e ascoltarne la voce.
Accendo il lume a petrolio. È l’unica cosa che ci segnala tra l’acqua color zinco e il cielo viola. A poppa una Lunaspicchio- d’aglio e un Giove incendiario. Ma ecco passare un’ombra a motore, senza luci. Tre uomini a bordo, non ci guardano nemmeno, indifferenti alla musica. Ci affiancano, ci sorpassano veloci, spariscono nel buio oltre l’imbarcadero di Isola Pescaroli. Forse sono loro, i ladri di motori.
Ma anche il posto dove passeremo la notte è una base da briganti: la lanca del Ronchetto, sulla riva sinistra, all’altezza di Motta Baluffi. Un lago nascosto, quasi invisibile dal fiume, con un solitario zatterone cabinato dove attraccare. È qui che ci aspetta il buon Vitaliano Daolio, capelli selvaggi grigio ferro, per portarci a cena nel suo solitario campo base dove ha allestito un acquario del Po. Pesca siluri con gli stranieri, ma li rilascia subito. Ed è incazzato nero con gli italioti che hanno dimenticato il loro fiume.
Ma è lui stesso un fiume in piena, tanto che fatico a trascrivere le sue parole. «Il Po è diventato lo spazio dei furbetti. Qui ognuno ruba ciò che vuole e scarica ciò che gli pare, farmaci, fertilizzanti, residui chimici. I pesci diventano transgenici, e noi usiamo quell’acqua per irrorare i nostri pomodori».
E il turismo? «Lo fanno austriaci e tedeschi, con barche sconosciute al fisco, che si portano dietro anche la benzina e il caffè e non lasciano nulla all’Italia. Il bracconaggio è in mano agli ungheresi, pescano siluri inquinati, ne portano via camionate senza che le Asl dicano nulla. Gli stranieri vengono a fare in Italia quello che non possono fare in casa loro».
Incontenibile Vitaliano, tra una salsiccia e una costata. «Qui se parti da Chioggia con una tonnellata di coca, arrivi a Torino in nottata senza problema. E se di notte becchi dei bracconieri sul fatto, non sai a chi dirlo, perché di notte quelli della cacciapesca hanno solo la segreteria telefonica. Lo sai? Il “112” non ha la barca. E i Carabinieri nemmeno».
E la gente non si incazza? «Ah, quella… Invece di prendersela con gli uomini se la prende con i siluri. Dice che addentano uomini e cani, o circondano come squali i piloni dei ponti. Balle! E voi ci bazzicate dentro, voi giorna-listi, in balle così, perché sapete che a tutti fa comodo un capro espiatorio. Il siluro abita in Europa da 400 mila anni, come fai a dargli la colpa dell’estinzione dei pesci?».
I pesci padani fluttuano in vasche illuminate, e c’è anche lui, il siluro, nutrito con pesci vivi che ingoia in un boccone con un gesto automatico e di noia. Fuori è pieno di stelle e di usignoli in amore.
(17 – continua)

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