Piedi Neri contro le major del petrolio

I leader della tribù hanno dato il via libera per le trivellazioni Ma in molti si oppongono in nome dell’ambiente e degli avi Montana, l’ultima guerra degli indiani   

I leader della tribù hanno dato il via libera per le trivellazioni Ma in molti si oppongono in nome dell’ambiente e degli avi Montana, l’ultima guerra degli indiani   

NEW YORK.  Il Glacier National Park, ai confini tra il Montana e il Canada, era la terra dei «Blackfoot», gli indiani Piedi Neri, una delle più famose tribù di native americans. Regione di montagne scoscese, dozzine di laghi, centinaia di animali diversi e mille piante, dove gli eredi di quelli che erano considerati «i più grandi cavallerizzi dell’intera prateria» vivono ancora oggi, sfruttando come possono una delle più belle riserve indiane d’America.
Una natura spettacolare, meta degli amanti del trekking che prenotano con mesi di anticipo gli chalet del primo Novecento. Terra di grande bellezza e ricco sottosuolo in cui, a mille e passa metri di profondità, si nascondono vene di petrolio. I leader della tribù hanno deciso che è il momento di sfruttare quella ricchezza, dando il via libera alle prime trivellazioni.
Una decisione sofferta che ha spaccato i «Piedi Neri» in due fazioni opposte: i pragmatici, che vedono nel nuovo business un modo per assicurare un futuro più decente alle proprie famiglie, gli idealisti, scandalizzati da quei macchinari pronti a violare una terra sacra dove vivono gli spiriti di guerrieri indomabili.
Una piccola guerra scoppiata lo scorso aprile, quando un gruppo di membri della tribù diedero vita a un evento chiamato «la nostra terra, il nostro futuro», in cui Jack Gladstone, il più famoso cantautore dei Blackfoot lanciò «Fossil Fuel Sinner» (combustibile peccatore), diventato ben presto l’inno della protesta. Diatriba che il New York Times ha rilanciato come news nazionale.
Due punti di vista opposti, ognuno con le proprie ragioni. Un boom del petrolio sarebbe una manna finanziaria per una tribù che, come tutti gli indiani d’America, soffre una secolare povertà ed è sempre alla disperata ricerca di nuovi lavori. Gli oppositori, oltre alla violazione della terra sacra, sostengono invece che le trivellazioni rischiano di rovinare l’habitat, con gravi conseguenze sul turismo locale (fonte di guadagni per i membri della tribù).
La terra dei piedi neri un tempo era grande come l’intero Montana (l’equivalente della Germania) ed oggi è ridotta a 6mila chilometri quadrati. Ci vivono in 10mila, eredi di quelli che un tempo erano cacciatori, predatori e guerrieri. Chi si oppone alle trivellazioni sottolinea come i Blackfoot siano, tra gli indiani d’America, una delle tribù che meglio si è adattata ai moderni Stati Uniti e che può continuare a vivere tranquillamente senza petrolio. Chi le vuole rinfaccia agli idealisti mancanza di coraggio e di senso della realtà: «per noi il petrolio può essere quello che per altri indiani sono stati i casinò».
Sulle case da gioco è in atto un’altra battaglia intertribale, centinaia di miglia più a sud, nelle colline della Sierra Nevada in California. Lì gli indiani Maidu hanno finalmente ottenuto dal governo federale la possibilità di aprire un casinò fuori dalla riserva, ma lapotente United Auburn Indian Community, (diverse tribù, compresi altri Maidu), proprietaria del resort «Thunder Valley» — hotel da 300 stanze, anfiteatro e campo da golf, decine di tavoli e 2700 slot machine — e un guadagno annuale di 30mila dollari per ogni membro della comunità si sta opponendo con tutte le forze. E il governatore della California, per ora, ha congelato il progetto.

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