Rispunta Rodriguez il Bob Dylan chicano della canzone di protesta

Un film racconta la vera storia del talento del folk   

Un film racconta la vera storia del talento del folk   

ROMA.  Cercatelo su YouTube e vi chiederete, come mai non lo conosco? perché non l’ho mai ascoltato prima? da dove sbuca? possibile che una canzone (Sugar Man) così potente sia rimasta sepolta per oltre quarant’anni? Le stesse domande che si è posto Malik Bendjelloul, il regista svedese che ha realizzato il documentario
Searching for Sugar Man, appena presentato — suscitando grande interesse — a New York e Los Angeles. È la storia vera di un talento trascurato, quello di Rodriguez (al secolo Sixto Diaz Rodriguez, 70 anni compiuti il 10 luglio), figlio di immigrati messicani di Detroit, rimasto orfano di madre a tre anni e cresciuto nel ghetto, che nella seconda metà degli anni Sessanta cominciò a incidere canzoni bellissime in bilico tra folk e protest song; una sorta di Bob Dylan chicano. Fu scoperto da un talent scout legato alla Motown in un nightclub. Due album pubblicati tra il 1970 e il 71, Cold Facte Coming from realitypassarono del tutti inosservati, anche se contenevano brani affascinanti e con arrangiamenti arditi, come Sugar Man, Inner City Blues e Rich folks hoax.
Avrebbe meritato il successo di José Feliciano, ma non accadde nulla.
Rodriguez preferì non insistere: aveva tre figlie da mantenere e dovette rassegnarsi a fare una quantità di lavori manuali. Continuò a suonare occasionalmente in Australia e Nuova Zelanda, dove Sugar Man — che racconta la storia di uno spacciatore — era diventata un cult. Faceva il manovale quando a sua insaputa i due cd furono ristampati in Sud Africa, dove Rodriguez diventò una specie di eroe e le sue canzoni inni anti-apartheid. Quei testi incendiari allarmarono il governo di Pretoria, che lo bandì dalle radio. Solo nel 1998 la figlia maggiore dello sfortunato artista scoprì che esisteva un sito dedicato al padre allestito da un gruppo di fan che lo credeva morto suicida dopo essersi appiccato il fuoco sul palco, come raccontava una fandonia forse messa in giro dalla propaganda governativa. Finalmente, nel 1998, Rodriguez tenne il primo, acclamato tour per la gioia di coloro che l’avevano riscoperto (anche se non ha mai percepito un centesimo dai diritti d’autore di quelle ristampe). «È la più incredibile storia vera che abbia mai ascoltato», dice il regista Bendjelloul, «ha tutti i contorni della fiaba. Un copione perfetto: l’elemento umano, la musica giusta, la rinascita a Hollywood dopo un ingiusto e ingiustificato ostracismo dal music business, la suspense della detective story».
Ora, dopo il pluripremiato Searching for Sugar Man, applauditissimo all’ultima edizione del Sundance Film Festival, Rodriguez ha finalmente gli occhi dell’America addosso. Il pubblico lo guardava come un Lazzaro resuscitato dalla tomba quando pochi giorni fa si è esibito al Grammy Museum, inquietante nel suo completo blu elettrico, occhiali scuri e il viso segnato dell’uomo cui la vita non ha fatto regali.
«Mio padre non faceva che ripeterci, non è una vergogna essere poveri», ha detto. «Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta ero convinto che ci sarebbe stata una rivoluzione, poi tutto si è ripiegato in se stesso. Ma continuo a pensare che anche Salomone e Davide erano musicisti e la musica è sempre la più potente forma di comunicazione che esista in cultura. È una celebrazione della vita». Quest’estate è tra le star del prestigioso Newport Folk Festival, David Letterman l’ha invitato in una puntata del suo Late Show, la Sony Legacy, in concomitanza dell’uscita del film, pubblica la colonna sonora con le sue più belle canzoni. A riascoltarne alcune, come A most disgusting song,
con la voce che ricorda sia Ben Harper che Eddie Vedder, si capisce anche perché l’America non applaudì i suoi testi che condannavano la guerra in Vietnam, il massacro degli studenti che protestavano a Kent State, la miseria e la violenza dei ghetti. «Rodriguez era il perfetto cantastorie», spiega Dennis Coffey, il chitarrista della Motown che lo scoprì e coprodusse il suo primo album. «Girava per strada, osservava, e cantava le cose che vedeva. Credo che questa fosse la ricetta che, anche a riascoltarlo oggi, lo rende così speciale». L’artista confessa di avere abbastanza canzoni nel cassetto per un terzo album, «ma non ho fretta, sono nonno adesso, troppo tardi per farmi la villa con piscina».

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