La morale della filosofia

Diversi studiosi affrontano il tema di come si possa stabilire quando un comportamento è lecito. Dalla vaghezza alla responsabilità .  Come riconoscere i confini dell’etica

Diversi studiosi affrontano il tema di come si possa stabilire quando un comportamento è lecito. Dalla vaghezza alla responsabilità .  Come riconoscere i confini dell’etica Che differenza c’è tra il mafioso che chiede un «pizzino» per «protezione» a un commerciante sotto la palese od occulta minaccia di bruciargli il negozio, e il professore universitario che fa pressioni su un collega più giovane per ottenere da lui qualche vantaggio, sotto la palese od occulta minaccia di bloccargli la carriera? Che cosa distingue un amichevole scambio di favori dalla prostituzione? Quando, esattamente, una concertazione democratica diventa patto criminale?

È l’antico problema della vaghezza, di cui ha parlato Achille Varzi su Repubblica del 17 luglio: una questione già molto nota nel IV secolo a. C., e che occupa e ha occupato intensamente i lavori dei metafisici e dei logici, soprattutto a partire dal secondo Novecento. Difficile stabilire confini, porre limiti, o come si dice: identificare con esattezza l’antiestensione dei predicati, il punto in cui sì, le cose stanno così, e più in là no, non stanno così.
Ecco dunque emergere il mentitore borderline, il mafioso borderline, il furbo borderline (quasi criminale, ma non del tutto), e naturalmente: il corruttore borderline. Tutti personaggi che per lo più se la cavano, perché sfruttano la vaghezza, vale a dire, banalmente: l’antica e perenne incertezza dei nostri giudizi sui confini.
La difficoltà di fissare limiti, e “tagliare” la realtà è anzitutto un problema metafisico, logico, e di filosofia del linguaggio. E alla prospettiva metafisica è dedicato il recente Vaghezza di Sebastiano Moruzzi (Laterza, 2012), mentre La vaghezza, di Elisa Paganini (Carocci, 2008) è focalizzato piuttosto sulla filosofia del linguaggio. Varzi stesso, a cui si deve la maggiore diffusione del tema in Italia (con Parole, oggetti, eventi, pubblicato da Carocci nel 2001, e più di recente con
Il mondo messo a fuoco, Laterza 2010), è un logico e un metafisico.
Ma una tesi centrale di Varzi è che le questioni logiche e metafisiche non circolano soltanto nell’aria rarefatta delle aule di filosofia, ma hanno pesanti e problematiche ricadute pratiche, morali, politiche, giuridiche. E proprio queste ricadute rendono la vaghezza estremamente importante e interessante.
Alla vaghezza giuridica sono dedicati il libro di Timothy Endicott, Vagueness in Law (Oxford University Press, 2003), e Dalla vaghezza del linguaggio alla retorica forense, di Federico Puppo (Cedam, 2012). E in effetti i giudici, i giuristi, e gli stessi avvocati sono costantemente alle prese con problemi di confine. Non esistono però, a quanto sembra, specifiche ed estese trattazioni sulla vaghezza morale, e politica. Eppure tutti noi, quando dobbiamo capire, decidere, scegliere, rifiutare o perdonare, ci misuriamo con il vago. E tutti noi siamo messi in trappola, molto spesso, da chi fa saltare la scacchiera, e ci dice: tutti corrompono, tutti si prostituiscono, tutti fanno pressioni, scambiano e concertano con finalità più o meno ineccepibili, al limite: tutti hanno ragione e torto, dunque non vale la pena darsi da fare. Da cui l’indifferentismo morale e metafisico, e il cosiddetto nichilismo giuridico, e infine la politica formale, senza contenuti, triste meccanismo di alleanze sventate e tattiche distruttive, a cui siamo abituati.
Nella vita democratica il vago riguarda in modo caratteristico il giudizio sulla corruzione: il «vendersi» che è in qualche modo quasi inevitabile, quando gli esseri umani non sono vincolati da doveri trascendenti, ma solo dalle loro transazioni linguistiche, economiche, affettive. E in questo senso si dice che la corruzione è quasi un portato necessario della democrazia. Ma necessario quanto? Quanto davvero inevitabile, e perciò a fortiori accettabile? Le cifre sono note: la corruzione costa 60 miliardi l’anno; ogni italiano paga circa 1.500 euro all’anno per la corruzione. Il decreto contro la corruzione proposto dal governo Monti è stato giudicato «un piano di reati troppo vaghi e lasciati alla libera interpretazione dei giudici». Ma per l’appunto la questione è la vaghezza: del reato, della giustizia, di ciò che sappiamo della realtà. Ogni legge, ogni nostra regola di convivenza civile, in linea di principio, può essere messa in forse dal gioco del “fino a che punto?”.
Che fare? La prima risposta non è difficile, ed era sullo sfondo degli sforzi dei Megarici (gli scopritori della vaghezza). Si tratta anzitutto di riconoscere che la vaghezza è vera, nel senso che è un fatto autenticamente osservabile dei nostri linguaggi e della realtà stessa in cui ci muoviamo. Chi non vede la vaghezza, non soltanto è accecato dalle proprie convinzioni, ma è anche fatale vittima degli ingannatori borderline, perché si priva degli strumenti intellettuali utili per dire: «no, un momento: mi stai ricattando e non lo accetto, mi stai minacciando e non puoi farlo».
In secondo luogo si tratta di ricordare che, come invece mostravano Platone e Aristotele contro i Megarici, non è affatto vero che non c’è torto né ragione, e non c’è giusto né sbagliato: piuttosto si tratta di tagliare, nel continuo della realtà, il giusto e l’ingiusto, la ragione e il torto. Siamo noi, evidentemente, a tagliare, e non sempre la realtà ci dice dove farlo. Ma certo è che ci sono tagli buoni e tagli cattivi.
Bisogna allora imparare l’arte di tagliare, che è in definitiva l’arte di parlare, e di pensare. Va notato che è questo l’unico strumento a nostra disposizione contro i distruttori della ragione fintamente razionali. In Hitler c’era una precisa coscienza della vaghezza. In un dialogo riportato da Lorella Cedroni (
Menzogna e potere, Le Lettere, 2010), il dittatore dichiara: «so bene anche io che non esistono razze nel significato scientifico della parola »; ma il concetto di razza «mi serve per agire politicamente, e programmare un nuovo ordine politico, esattamente come serve a un allevatore di bovini, il quale sa che senza razze non vi può essere allevamento». Oggi forse, grazie al lavoro dei filosofi che studiano la vaghezza, abbiamo – possiamo avere – una visione più precisa del problema. Questo naturalmente non vince la vaghezza e non mette a tacere del tutto il finto razionalismo di chi la sfrutta a suo vantaggio. Ma come si dice: vedere bene un problema significa vederne anche, caso per caso, la soluzione.
(Franca D’Agostini è una filosofa, tra i suoi libri “Analitici e Continentali” pubblicato da Cortina)

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