Gli amori, la politica, Milano e perfino lo sport La sua opera è un’apertura totale verso il mondo La tentazione a cui non si può rinunciare, quando si parla di Giovanni Raboni, è di far parlare Giovanni Raboni, tale è la sensibilità e la consapevolezza di un poeta che è stato anche tra i nostri critici più acuti (oltre che splendido prosatore, traduttore, autore teatrale e tanto altro ancora). Cominciamo dalla fine, da «un ultimo, forse superfluo corollario: la poesia, in sé, non esiste — esiste soltanto, di volta in volta, e ogni volta inaudita, ogni volta imprevedibile e irrecusabile, ogni volta identica solo a se stessa, nelle parole dei poeti».
Gli amori, la politica, Milano e perfino lo sport La sua opera è un’apertura totale verso il mondo La tentazione a cui non si può rinunciare, quando si parla di Giovanni Raboni, è di far parlare Giovanni Raboni, tale è la sensibilità e la consapevolezza di un poeta che è stato anche tra i nostri critici più acuti (oltre che splendido prosatore, traduttore, autore teatrale e tanto altro ancora). Cominciamo dalla fine, da «un ultimo, forse superfluo corollario: la poesia, in sé, non esiste — esiste soltanto, di volta in volta, e ogni volta inaudita, ogni volta imprevedibile e irrecusabile, ogni volta identica solo a se stessa, nelle parole dei poeti». È l’idea, vagamente tautologica e invero centrale, che la poesia non esista se non nelle poesie che la rendono di volta in volta vera e conoscibile. Si tratta evidentemente di un invito a ritornare ai testi, a lasciarli parlare e anche ad ascoltarli.
Poco prima, nel contesto del medesimo articolo, apparso sul «Corriere della Sera» nel febbraio del 2004, cioè a pochi mesi dalla sua scomparsa, Raboni aveva dato senza indugio la sua semplicissima ricetta: «Prendere il libro di un grande poeta, aprirlo e mettersi a leggerlo. (…) A un certo punto funzionerà. Quelle parole, quei suoni, quel ritmo, quelle immagini cominceranno a produrre emozione e senso». È una ricetta infallibile, e valida naturalmente per le poesie dello stesso Raboni, che è un grande poeta, senza alcuna delimitazione territoriale o temporale. Ma l’articolo di cui si sta parlando andrebbe in realtà ripreso integralmente perché oltre alle indicazioni riportate l’autore, con parole altrettanto semplici e altrettanto perfette, ci dice che la poesia «è un linguaggio: un linguaggio diverso da quello che usiamo per comunicare nella vita quotidiana e di gran lunga più ricco, più completo, più compiutamente umano; un linguaggio al tempo stesso accuratamente premeditato e profondamente involontario, capace di connettere fra loro le cose che si vedono e quelle che non si vedono, di mettere in relazione ciò che sappiamo con ciò che non sappiamo».
Ecco, queste ultime parole in particolare ci portano al centro del modo di pensare la poesia di Raboni, come un «sogno fatto alla presenza della ragione» per citare le parole del gesuita secentesco Tommaso Ceva, amatissime dal Nostro. E così è stato in effetti per l’intero percorso poetico di Raboni, un percorso che si sviluppa per oltre quarant’anni, da Il catalogo è questo del 1961 agli Ultimi versi, usciti postumi nel 2006. La fedeltà estrema a questo connubio tra sogno e ragione è ciò che immediatamente colpisce il lettore di queste poesie; una fedeltà che non è mai disgiunta da un fortissimo valore etico, di responsabilità nei confronti delle cose da dire. Questo ci permette di sottolineare l’apertura totale della poesia raboniana. Perché il punto di partenza per Raboni è che non ci sono aspetti, situazioni, esperienze, cose materiali e immateriali che non abbiano la possibilità di essere restituite in forma poetica, di trovare una loro dicibilità in poesia. E così Raboni è stato, dall’inizio alla fine, un poeta di grande forza politica, «naturaliter civile» secondo Zanzotto, ma è stato anche autore di alcune delle più belle poesie d’amore del Novecento (per Bertolucci), ha scritto versi dedicati allo sport (al calcio in particolare: era interista, come Sereni) e insieme ci ha parlato del suo rapporto profondo, viscerale con Milano, città in cui è nato e vissuto, e ancora e soprattutto, con accenti di straordinaria tenerezza e intensità, ha trovato parole per esprimere in poesia il dialogo mai venuto meno con i propri cari defunti. Al centro di questo complesso e articolato itinerario c’è una passione autentica per la realtà e per la Storia, quella individuale, quella cittadina e quella di tutti, con l’iniziale maiuscola. Ed è proprio la capacità di Raboni di stare dentro la propria storia, e di viverla e interrogarla sullo sfondo di una storia più grande e collettiva, a far sì che la sua poesia sia così viva, così vicina e intima.
L’apertura di cui si è detto non riguarda tuttavia solo i contenuti ma anche il modo con cui quei contenuti sono organizzati. La curiosità intellettuale e la sensibilità poetica straordinarie di Raboni hanno fatto in modo che in lui fosse sempre ben vigile un atteggiamento di ricerca, in senso ampio sperimentale. Dopo le prime raccolte inquadrabili nell’ambito dell’informale (una forma senza forma, o meglio senza una forma prestabilita), in cui la gestione del linguaggio poetico è in funzione di una resa espressiva che apre alla prosa senza però mai restarvi impigliata, a partire dagli anni Novanta Raboni avverte la necessità per la poesia in generale di «un riconoscimento formale» e accetta la sfida con la tradizione. Il recupero del sonetto (emblema stesso della tradizione italiana) va però ben al di là di un semplice espediente per rinnovare la propria scrittura poetica: è una scelta ancora una volta carica di senso politico, ancora una volta il modo per dire se stesso, per affermare la propria individualità nel contesto di un rapporto visibile, formalizzato con l’istituzione. Il fatto che il suo linguaggio poetico e l’intonazione del suo discorso non cambino, pur essendo costretti nella «prigione» della forma sonetto, assume così pienamente il valore di un gesto di rivendicazione della libertà dell’io dentro le misure costrittive della società capitalistica.
Continuando a parlarci dei suoi (nostri) temi più cari il poeta, che sa bene quanto la forma esprima di per sé un contenuto, un significato, svolge in questo modo una funzione pubblica, in senso alto classica. Nelle ultime due raccolte poetiche Raboni cerca infine di conciliare forma aperta e forma chiusa, in un modo del tutto personale, affidandosi alla musicalità dei versi tradizionali ma con una libertà di organizzazione che mai mette in dubbio la possibilità di riconoscere la voce che li detta. Nella rigorosa e generosa fedeltà a se stesso Raboni ha saputo percorrere molte strade diverse, rimettendo sempre in gioco le cose che aveva da dire alla luce di nuove sollecitazioni formali ed espressive. Tutto questo è nei fatti. E i fatti sono parole che sono impastate di suoni, suoni che organizzano un ritmo, un ritmo che costruisce immagini — immagini sonore — al fine di produrre emozione, e attraverso l’emozione far filtrare un senso. Tutto, come già detto da Raboni, esattamente in quest’ordine. Ora non resta che aprire il libro, e «mettersi a leggerlo».
0 comments