«Le istituzioni che hanno taciuto adesso devono prendere posizione»

Daniele Vicari / PARLA IL REGISTA DEL FILM «DIAZ»

Daniele Vicari / PARLA IL REGISTA DEL FILM «DIAZ»
MILANO.  Tutti sanno cosa è successo. Ma Daniele Vicari, con il suo film Diaz, quei poliziotti ce li ha fatti vedere all’opera. Ha fatto bene, ci ha fatto male.
Basta questa sentenza per dire che giustizia è fatta dopo le torture alla Diaz?
La conferma dell’impianto accusatorio pone le istituzioni di fronte a una grave difficoltà. Stiamo parlando di alti funzionari della polizia italiana che sono stati condannati. La loro sospensione deve creare un grosso problema non solo ai vertici delle forze dell’ordine ma anche alla politica. Adesso le istituzioni hanno il dovere di dire qualcosa, dopo che per undici anni non hanno voluto affrontare la questione.
La polizia che tortura, con la copertura delle istituzioni, è immagine e sostanza della sospensione della democrazia. L’Italia adesso ti sembra uno stato democratico?
Continuo a nutrire dei dubbi, intanto perché queste cose sono accadute. Mi sentirò più tranquillo solo quando ci saremo dotati di strumenti legislativi che possano impedire il ripetersi di certe situazioni. Sotto il profilo dell’ordine pubblico, dobbiamo avere il coraggio di affrontare la questione seriamente, altrimenti ci poniamo fuori dalla democrazia. E’ incredibile che in Italia non esista il reato di tortura, dobbiamo arrivarci senza giochetti di prestigio per garantire l’impunità delle forze dell’ordine. Non ci vuole molto, basta notificare le norme dell’Onu. Questa sentenza potrebbe rappresentare una buona occasione.
Visto che alcuni hanno criticato il tuo film perché non avrebbe sottolineato la responsabilità dei politici, oggi in che modo le istituzioni potrebbero recuperare un minimo di credibilità rispetto a quello che è successo a Genova?
Sono convinto che sia necessario agire in parlamento per dotarsi di strumenti legislativi chiari e inequivocabili per ribadire chiaramente che tutti noi cittadini dobbiamo essere uguali davanti alla legge. Deve essere chiaro che qualunque cittadino ha il diritto di manifestare il proprio dissenso. Sembra una cosa scontata e invece sarà un processo lungo e molto faticoso perché è evidente che all’interno delle nostre istituzioni ci sono delle culture e delle pulsioni decisamente non democratiche. Questa battaglia non deve essere condotta da questo o quel pezzo di movimento o associazione, deve diventare un impegno e una responsabilità di tutti noi, di tutta la società nel suo complesso.
Il movimento, o la sinistra, accontentandosi di restare aggrappata alla memoria di Genova non rischia di perdere per strada ciò che accade qui e ora? Oltre ai casi dei ragazzi uccisi dalle varie polizie, o in carcere, ogni giorno le cronache raccontano aggressioni che non lasciano tracce di reazione o mobilitazione.
So che molti pezzi del movimento non la pensano così, ma io sono convinto che la chiave di volta per ribaltare questa situazione sia la battaglia per i diritti civili. Non è la lotta di una piccola parte della borghesia intellettuale, tutt’altro, è il modo per riconquistare la democrazia. Penso che i diritti civili siano alla radice di ogni democrazia. Se una persona viene denudata, picchiata, umiliata, la questione politica passa in secondo piano, perché prima di tutto è l’agibilità democratica che viene meno. Il diritto a esistere come essere umano. Con il film ho voluto porre il problema: la repressione che abbiamo visto a Genova non colpisce solo il dissenso o chi dissente, è la negazione della dignità dell’essere umano.
Il movimento di fronte all’urgenza di una crisi che sta cambiando le nostre vite dov’è finito? Perché questa incapacità di reazione? La richiesta di più giustizia non può certo passare solo da un’aula di tribunale.
L’aula di un tribunale sanziona un reato. Punto. Ma se non siamo liberi di manifestare il nostro dissenso, in un periodo come questo, la questione diventa decisiva. Dobbiamo superare l’afasia, approfondire il tema coinvolgendo tutta la società, evitare che gruppi e gruppetti ne facciano una questione quasi privata. Sicuramente non bastano le ragioni del passato, dobbiamo riuscire a capire qual è oggi il luogo democratico dove poter esercitare il nostro diritto di riappropiarci del futuro. Mi ripeto: ritengo che il complesso di tutte le questioni che riguardano i diritti civili sia il nocciolo della questione.

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