Aspettando il 13 luglio

MOVIMENTO Continua la campagna per i manifestanti sotto processo
Mina alla Diaz c’era. Adesso è emozionata. «Sono abbastanza soddisfatta anche se è stato un percorso lungo e molto duro per noi e anche se si tratta solo di un condanna a metà . Ormai dalla giustizia non ci aspettavamo più niente, non credevo che andasse così. Oggi è il momento di essere contenti. Ma settimana prossima c’è un altro processo importante».

MOVIMENTO Continua la campagna per i manifestanti sotto processo
Mina alla Diaz c’era. Adesso è emozionata. «Sono abbastanza soddisfatta anche se è stato un percorso lungo e molto duro per noi e anche se si tratta solo di un condanna a metà . Ormai dalla giustizia non ci aspettavamo più niente, non credevo che andasse così. Oggi è il momento di essere contenti. Ma settimana prossima c’è un altro processo importante».
Il 13 luglio, infatti, la Cassazione si pronuncerà ancora sui fatti del G8 di Genova. Questa volta dovrà giudicare dieci manifestanti condannati in appello complessivamente a oltre 100 anni di carcere. La legge non è mai stata uguale per tutti. Chi aveva una divisa e dava gli ordini per conto dello Stato ha comunque avuto un trattamento privilegiato, anche se aveva torto marcio, come ha stabilito la sentenza di ieri. E a questo punto la Cassazione, se fosse coerente, non potrebbe accettare le pene durissime che sono state comminate a un gruppetto di manifestanti presi nel mucchio, in molti casi solo per il fatto di essere stati fotografati nei pressi di una piazza dove ci sono stati scontri.
Per l’occasione, nel corso dei processi di primo e secondo grado, è stato riesumato un articolo del codice Rocco di epoca fascista (il 419), «saccheggio e devastazione», che prevede dagli 8 ai 15 anni di carcere. E così una vetrina rotta o un motorino rubato sono stati puniti come una rapina a mano armata o un omicidio. E senza nessuna possibilità di proscrizione. Contro questo abuso è nata in la campagna 10×100. In meno di un mese l’appello ha raccolto in rete 15 mila firme. E ieri sera a Roma, in piazza Trilussa, è stata organizzata una kermesse – fra gli altri si sono esibiti i 99 Posse e gli attori del teatro Valle occupato – per accogliere e commentare la sentenza sulla Diaz, per rilanciare la campagna e ribadire che «Genova non è finita qui».
Il movimento adesso chiede che la Cassazione rimandi al mittente la sentenza del 2008 del tribunale di Genova contro i dieci manifestanti. Quel processo in origine aveva individuato 25 imputati, 15 però vennero scagionati perché fu riconosciuto che gli scontri di cui loro malgrado sono stati protagonisti furono innescati dalle cariche delle forze dell’ordine. Per questo gli è stato riconosciuto il «diritto di resistenza» e sono stati prosciolti. Gli altri dieci in questi 11 anni si sono ricostruiti una vita. Per la maggior parte si tratta di giovani, molti di loro non sono militanti politici. E non possono pagare per tutti. Per gli animatori della campagna 10X100 non si tratta solo di battersi per dei compagni. «Quello che è successo a Genova – spiegano – riguarda tutti, non solo il movimento, qui e ora. Basta vedere il modo in cui viene gestito il dissenso in val di Susa, ma anche le proteste per il posto di lavoro o contro i tagli di Monti».
Dopo 11 anni, infatti, appare evidente che i 300 mila che manifestarono al G8 di Genova avevano ragione. Il mondo governato da quegli otto grandi è in crisi e il loro modello economico e politico ha fallito. Col senno di poi, chi si stupirebbe o si scandalizzerebbe più se oggi qualcuno se la prendesse con la vetrina di una banca? Condannare quei dieci serve solo da esempio e da precedente per chi protesta oggi. Se allora chi manifestava aveva delle fondate ragioni per farlo, adesso quei ragionamenti sono diventati cruda realtà. Solo che il movimento, soprattutto in Italia, dopo Genova si è progressivamente sfaldato. Mancano obiettivi politici credibili, sbocchi possibili che non inclinino paurosamente verso il populismo, mentre a pagare i costi dei disastri del neoliberismo sono sempre i più deboli.
Questa rassegnazione sarebbe stata impossibile senza Genova. Fu allora che lo Stato con una brutalità mai vista ha trasformato il conflitto politico e sociale in una questione di ordine pubblico, quasi di guerra, che va risolta con la forza. Fu l’inizio della crisi anche del movimento. E per questo oggi di quella storia ci rimangono solo i processi. La politica infatti ha abdicato da Genova. Anche durante i governi di centrosinistra non si è più voluto aprire quel capitolo per timore di apparire vicini ai «facinorosi» che con le mani alzate o con una bombola di gas in mano gridavano il loro no all’ingiustizia del mondo. Così tutto ciò che resta di quel G8 è una giustizia che giusta non è, nonostante la sentenza di ieri. E resta il ricordo delle botte dei poliziotti e dei carabinieri, diventate quasi un feticcio per un’intera generazione che poi non ha più saputo o potuto sognare un altro mondo possibile, proprio mentre il mondo gli crollava addosso

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