TRIENNALE Un affascinante itinerario nella storia della grafica del Belpaese
TRIENNALE Un affascinante itinerario nella storia della grafica del Belpaese
MILANO. Può dialogare il design cinese ultimo modello, ultratecnologico, con la grafica italiana dell’epoca d’oro, quella che cavalcò il boom economico degli anni Cinquanta, stilizzata, minimal, optical e utopica? Forse no, però i due momenti storici hanno punti di tangenze non indifferenti: la crescita vertiginosa della produzione – in Asia oggi come in Italia allora – stimola la creatività e la espande in tutti i settori.
Così alla Triennale di Milano vanno in scena due universi paralleli. Da un lato, quello virtualissimo, su grandi schermi del New Chinese Design and Innovation – la mostra è tutta in digitale, con assenza di oggetti – con tanto di interviste a docenti, artisti, professionisti del settore che raccontano il loro lavoro, le metodologie messe a punto in 80 aziende, illustrano un futuro (si spera ecosostenibile) delle metropoli asiatiche. Dall’altro lato, la quinta edizione del Triennale Design Museum ha dedicato la sua esposizione alla grafica italiana e alla comunicazione visiva (fino al 24 febbraio 2013).
In una collaborazione stretta fra archivio fotografico e audiovisivo, vengono ripercorsi gli allestimenti storici di rassegne che hanno segnato i capitoli più importanti della grafica editoriale e pubblicitaria: si va da quella del 1933, alla manifestazione del 1940 curata da Guido Modiano, insieme a Luigi Veronesi e Bruno Munari, fino alla più recente mostra del 1988, con le fotografie a colori di Paolo Rosselli. Nell’itinerario entrano anche le sigle televisive di celebri serie, come la stilizzata segnaletica architettonica e urbana.
In uno stretto ordine cronologico, si parte dalla rivoluzione tipografica dei Futuristi per inoltrarsi nella selva di lettere in libertà, seguono poi periodici, libri,poster pubblicitar, filmati. Anche gli standard della tipografia italiana si elevano e godono una loro celebrazione: la nascita dello studio artistico alla Fonderia Nebiolo di Torino sancisce un «carattere» delle lettere, un loro disegno specifico, una ricerca nel campo. Il primo banco di prova per le sperimentazioni tipografiche è naturalmente tra gli scaffali delle librerie. La copertina di tascabili e bestseller diventa una superficie simile alla tela dei pittori, un supporto cui regalare una riconoscibilità, una personalità e una raffinata consapevolezza delle tendenze culturali in atto.Si formano coppie indiscindibili: Feltrinelli/Steiner, Einaudi/Munari (che ha lavorato anche per Bompiani, Editori Riuniti, Rizzoli), Boringhieri/Mari, Garzanti/Bianconi, Vallecchi/Noorda, solo per citarne alcuni tra i più conosciuti.
Nella rosa dei «pionieri» del segno grafico che reinventa gli spazi entrano pure i periodici e le riviste: innovano, fanno ricerca, propongono soluzioni inedite al rapporto fra testo e immagine (c’è anche il manifesto delle origini fra i capostipiti). È qui, sulla carta stampata, che si è affinato il senso critico e la capacità di creare nuovi modelli di lettura per molti graphic designer. L’altro settore di eccellenza è stato naturalmente quello pubblicitario. I linguaggi visivi più originali si sono sviluppati a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, in un rapporto di collaborazione molto stretto fra aziende all’avanguardia come Olivetti o Pirelli e gli artisti. Il made in Italy ha finito così per identificarsi con marchi di riconoscimento ineludibili, trasformando la committenza in un «logo» mondiale.
La sezione più eccentrica e divertente è costituita da quella degli Imballaggi. Confezioni del prodotto – spicca la Barilla di Carboni (1952-60) – e carte variegate sfruttano le correnti artistiche e i leit motiv geometrico-optical dell’arte oltreoceano. C’è anche quella dal sapore pop disegnata per i magazzini Mas allo statuto da Heinz Waibl dal 1955 al ’59. Un capolavoro della decorazione «seriale»
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