La filosofa Luisa Muraro in un pamphlet ne sostiene le ragioni, ma contraddice così la storia del movimento
La filosofa Luisa Muraro in un pamphlet ne sostiene le ragioni, ma contraddice così la storia del movimento
Fa discutere l’ultimo testo di Luisa Muraro, madre storica di quel filone del femminismo italiano che fa della differenza di cui le donne sono portatrici – una scommessa di libertà per tutti. La filosofa si cimenta in un pamphlet ( Dio è violent, Nottetempo, pp. 75, € 6) scoppiettante di inventiva, ma anche di azzardi teorici. Il suo è un corpo a corpo con due pilastri della filosofia politica: il concetto di contratto sociale e quello di violenza giusta.
Del contratto sociale Muraro sottolinea la convenzionalità. Si tratta di un racconto filosofico, non di un’assemblea di gentiluomini convenuti dal monte e dal piano. Le donne vi partecipano? Non lo «firmano» all’origine, ci ricorda Muraro, ma in una fase successiva sì: fino a che la fine dell’idea di progresso non ha dato un colpo mortale alla prospettiva di uguaglianza che permetteva di plasmare il contratto sociale, di allargarne le maglie, di includere. Da quel momento, scrive: «io non ci sto, non do più il mio credito alle autorità costituite, mi riprendo intera la disponibilità di me e della mia forza».
Di qui la scandalosa conseguenza: «l’agire efficace comporta una certa violenza. Quanta esattamente? – si chiede – Non lo so e non penso che ci sia una risposta generale a questa domanda». Tuttavia, almeno in un caso, Muraro lo sa benissimo: scrive che gli abitanti dell’Aquila avrebbero dovuto mandare a casa Silvio Berlusconi «a fischi e a sassate». Lo dovevano ai loro morti e a suo avviso hanno abdicato all’azione. Le donne aquilane del movimento Terre-mutate rivendicano ( Leggendaria, numero 94) la storia della loro «legittima ribellione», diversa dalla violenza giusta, nei confronti dei giochi di potere del dopo terremoto.
Ma quando è finita la stagione relativamente felice in cui il contratto sociale non era una gabbia che imprigiona? L’autrice colloca la fine delle responsabilità politica, e dunque della validità del contratto sociale, al tempo della violenza abnorme della Grande Guerra. Perché? Al contrario, è dopo di allora che i grandi della non-violenza – Gandhi, Martin Luther King, Nelson Mandela, Aung San Suu Kyi – ci hanno impartito le loro migliori lezioni, sia di azioni politiche efficaci, sia della disciplina interiore che consente di portarle a termine. Hanno ridisegnato il mondo, hanno trasformato i paria in cittadini. E lo hanno fatto prendendo la democrazia alla lettera, sottraendo alla violenza le proprie energie e quelle altrui.
Tutto ciò richiede forza, non violenza. Ma Muraro a questa distinzione non ci sta. E aspira alla violenza quanto basta «per combattere senza odiare, per disfare senza distruggere». Purtroppo tutta la memorialistica dei grandi e dei piccoli violenti, da Mao ze dong al più oscuro dei brigatisti rossi, ci ha insegnato che ognuno crede di brandire la pistola avendo la tenerezza nel cuore e la brutalità della storia nella mente. Forse consapevole di questo, Muraro chiede l’alleanza di Dio, nominato fin dal titolo (e non invano) per dare, come «sole di giustizia», una dignità più alta alla infuocata passione della violenza «che non è interamente a disposizione degli umani».
Il testo fa discutere, dicevamo. Da opposte sponde due quotidiani apprezzano il libro in modo particolare. Il manifesto (per la firma di Ida Dominijanni) sottolinea la rottura rispetto a tutta la sinistra novecentesca che «ormai si è piegata all’idea che l’ordinamento democratico escluda la violenza». Il Foglio sembra compiacersi della cruda distanza di Muraro dal pensiero democratico e dell’aura teologica che la anima.
A noi invece, che alla democrazia siamo affezionati, e vorremmo vederla rinascere e rivivere di continuo, piace in particolare una frase: «siamo diventati umani grazie a un ordine simbolico materno, perché qualcuno ci aspettava, non per via del contratto sociale». Nulla di più vero – si deve essere umani prima di diventare cittadini – nulla di più lontano dalla violenza, nulla di più interessante per disegnare il futuro delle relazioni fra i viventi.
0 comments