Per l’esuberante Cuba è il tempo di cambiare

Il presidente Raàºl Castro sa che la situazione non permette di rinviare oltre le necessarie riforme politiche e le dolorose riforme economiche annunciate in aprile e finora rimaste senza effetti pratici. Dentro e fuori il paese ci s’interroga sul senso del vistoso ritorno in campo di Fidel Economia in crisi, per rimetterla in moto bisogna tagliare un milione di posti di lavoro. Domani, 26 luglio, parlerà  Raàºl

Il presidente Raàºl Castro sa che la situazione non permette di rinviare oltre le necessarie riforme politiche e le dolorose riforme economiche annunciate in aprile e finora rimaste senza effetti pratici. Dentro e fuori il paese ci s’interroga sul senso del vistoso ritorno in campo di Fidel Economia in crisi, per rimetterla in moto bisogna tagliare un milione di posti di lavoro. Domani, 26 luglio, parlerà  Raàºl L’AVANA.·Alla mattina presto, ben prima dell’apertura degli uffici, vi è già una piccola folla di fronte al Poder popular di Alamar, grande sobborgo popolare dell’Avana dell’est. Il governo (meglio, il passaparola) ha annunciato che è stata riaperta la concessione di licenze per una serie di lavori por cuenta propria, ovvero privati. Aspiranti barbieri, parrucchiere, idraulici e persino venditori ambulanti di caramelle e dolciumi (fatti in casa) si dispongono pazienti ad informarsi del papeleo – l’infinita serie di documenti – necessario per lanciarsi in un’attività in proprio. Solo il settore alimentare non è ancora riaperto ai privati – le licenze per i paladar, ristorantini a gestione familiare, restano bloccate.

Non tutti nella coda però sono tranquilli. Vi sono alcuni giovani che hanno appena concluso gli studi superiori che sono venuti per chiedere l’assegnazione di un lavoro (statale, ovviamente). Orlando, un tecnico di computer, esce dall’ufficio apposito con la faccia scura. Gli unici posti a disposizione, afferma, sono nel settore agricolo, nella costruzione o nei ranghi della polizia. «Non ho studiato elettronica per andare a zappare la terra o per fare lavori giornalieri come muratore», mastica amaro.
Pesanti tagli nell’organico, super-affollato, del settore statale – che controlla il 95% circa dell’economia – erano stati ventilati già in aprile in un discorso del presidente Raúl Castro, il quale aveva parlato di un milione o più di esuberi, su una popolazione attiva di 4.9 milioni di persone (Cuba ha 11.2 milioni di abitanti). Poi era stata la volta di Salvador Valdés Mesa, segretario generale della Confederazione dei lavoratori cubani il quale, in un articolo, aveva rassicurato che non erano previsti licenziamenti e che «la riorganizzazione» di tutto il settore pubblico avrebbe comportato l’assegnazione di nuovi posti (appunto nell’agricoltura e nelle costruzioni) per i lavoratori in esubero.·
I mesi passati da tali annunci non hanno che peggiorato la situazione di crisi – economica e finanziaria – del paese. Situazione che non è più tenuta nascosta, messa sotto il tappeto del giusto orgoglio della nazione che da 50 anni resiste all’aggressione della più grande potenza imperiale del mondo e conserva la propria indipendenza e dignità. Nell’ultima settimana il Granma, organo del Partito comunista, ha pubblicato almeno un paio di reportages drammatici, più che allarmanti. Uno sulle ruberie generalizzate di binari e traversine delle disastrate ferrovie nella zona centrale dell’isola, dove, proprio per questo è deragliato un treno. L’altro sulla ristrutturazione dell’acquedotto di Santiago, con ritardi e ruberie. Come a dimostrare che non vi è più margine di attesa. E che le più volte ventilate, riforme dovranno essere varate. E su questo punto si sprecano le opinioni dei cittadini pubblicate nella speciale sezione del venerdì del Granma.
Ma quando? E di che ampiezza? Le voci sono molte, e se ne raccolgono di varie opinioni parlando con economisti e intellighenzia. «Da mesi si sta discutendo sull’argomento e i tecnici sanno quello di cui Cuba ha bisogno, ma hanno di fronte un problema di fattibilità politica», è il parere di un diplomatico europeo. Fattibilità politica significa che ai vertici del partito e del governo non vi sarebbe accordo. Il condizionale è di rigore, perché dell’argomento non vi è traccia nei mass media scritti e parlati. Sono in molti però che associano la decisione di far uscire dal carcere 52 prigionieri di coscienza annunciata all’inizio del mese da Raúl all’arcivescovo dell’Avana, Jaime Ortega, e al ministro degli esteri spagnolo Moratinos, con la necessità di preparare il terreno a riforme. Lunedì scorso, poi, a Ginevra il capo del parlamento cubano, Ricardo Alarcón, ha fatto intendere che il governo sarebbe disposto a scarcerare «ogni persona che non sia accusata di delitti di sangue». Una misura che, ha commentato l’economista dissidente Óscar Espinosa Chepe – uno del gruppo dei 75 arrestati nel 2003 e poi rimesso in libertà -, «rappresenta un passo enorme, ma non servirà se non seguiranno rapidamente riforme».
Del resto, fonti della diplomazia spagnola e della chiesa cattolica hanno confermato al giornale spagnolo El País che il tema delle riforme era stato affrontato da Raúl Castro durante i colloqui per la liberazione dei prigionieri politici. Il presidente e il «suo gruppo», così si esprime il diplomatico europeo, penserebbero a una serie di riforme già ventilate e discusse – per esempio nella sezione lettere al direttore di Granma -: affidare parte dei servizi a cooperative, ampliamento delle licenze di lavoro ai privati, misure che portino alla graduale eliminazione della doppia moneta (gli inutili pesos degli stipendi e i Cuc, i pesos convertibili, necessari per comprare quello che serve) e, ovviamente, una drammatica sforbiciata agli organici del settore statale.
Misure, queste ultime due, che comportano un evidente impatto sociale. Oltre che questioni di geopolitica. Almeno a credere alle tesi espresse da due giornali economici, l’inglese Financial Times e l’americano Wall Street Journal. I quali sostengono che le scarcerazioni di oppositori sono una sorta di scommessa politica di Raúl per cercare di migliorare i rapporti con gli Stati uniti, in vista appunto di riforme economiche strutturali. Il presidente cubano, secondo questi giornali, non si fiderebbe più, non tanto della linea politica (e di eventuali condizionamenti) del presidente venezuelano Hugo Chávez, quanto della capacità del Venezuela di uscire dalla crisi e di continuare a sostenere economicamente Cuba. La riapparizione in pubblico di Fidel dopo quattro anni dalla sua grave malattia e il successivo attivismo – attraverso le sue «riflessioni» giornalistiche – in materia di politica estera, fanno però pensare che il senior dei Castro non intenda «sacrificare» il suo alleato strategico sull’altare di un eventuale allentamento dell’embargo Usa.·
Grandi strategie economiche e geopolitiche a parte, basta però frequentare i cubani per rendersi conto che l’aspettativa di cambiamenti è generalizzata. La crisi morde sempre più forte e i cubani – si può usare questa generalizzazione – chiedono che quello che viene percepito come un incomprensibile immobilismo seguito alle speranze suscitate dagli annunci di Raúl, finisca. E si passi a un movimento di riforme, economiche prima ancora che politiche, almeno a partire dal prossimo autunno.
La discussione su questi tema ha già avuto, però, l’effetto di dividere la dissidenza. Alcune figure di spicco come Espinosa Chepe, Héctor Palacios e l’oppositore moderato, Manuel Cuesta Morúa, affermano che l’apertura di Raúl costituisce «un’opportunità» e che sarebbe da irresponsabili ignorarla. Dunque chiedono agli Usa e alla Ue di andare a vedere il gioco del presidente cubano, in modo da favorirne possibili sviluppi positivi. Di parere opposto gli scettici, come il democristiano Oswaldo Payá e l’attivista dei diritti umani Elizardo Sánchez: loro sostengono che il governo vuole solo guadagnare tempo e che bisogna dunque mantenere la pressione internazionale su Cuba. A questa tesi si sono a«llineati i primi detenuti cubani giunti a Madrid i quali hanno chiesto alla Ue di mantenere l’insostenibile e ostile «posizione comune» del ’96, mettendo in pericolo l’accordo per le altre scarcerazioni, trattato dalla chiesa cattolica e dalla diplomazia spagnola.
Il dilemma di sempre – dialogo o pressione – divide ancor più decisamente le Damas de blanco, le madri e parenti dei 75 incarcerati nel 2003 che con le loro manifestazioni hanno portato il problema dei detenuti politici all’attenzione internazionale. La promessa del presidente di scarcerare praticamente tutti i detenuti ha indotto alcune di loro a sostenere che «la missione è stata compiuta» e che il movimento deve sciogliersi. Laura Pollán, portavoce e leader del gruppo, ha però risposto che continueranno a lottare fino a quando le carceri cubane saranno svuotate di dissidenti. Ma ogni domenica sono sempre meno. E soprattutto, sono sotto tiro le cosiddette Damas de apoyo, donne che sostengono il movimento pur non essendo parenti di detenuti politici. La chiesa ha chiesto che le Damas de blanco prendano le distanze, anche per le voci che le «sostenitrici» sarebbero finanziate da fondazioni di anti-castristi di Miami o del governo Usa.
Vi sono dunque motivi concreti per attendere con interesse il discorso che il presidente Raúl farà a Santa Clara domani, 26 luglio, anniversario dell’assalto alla caserma Moncada, in pratica l’inizio della rivoluzione guidata da Fidel.
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L’AVANA Continuano i rilasci dei 52 detenuti di coscienza anche se il tema non è tema di discussione pubblica su giornali e tv statali
Gli Usa s’intromettono per togliere protagonismo alla chiesa e alla Spagna
Ro. Li.
L’AVANA
Sotto la presidenza di Raúl Castro, l’Asamblea nacional del Poder popular , il parlamento cubano, discuterà dal primo agosto la critica situazione economica e produttiva del paese. Granma e Juventud Rebelde, i quotidiani del partito e della gioventù comunista, hanno informato che, per la prima volta, l’Anpp esaminerà il resoconto della finanziaria dell’anno passato, questione che solitamente era affidata a una delle commissioni oarlamentari. Il fatto sottolinea come il minore dei Castro sia intenzionato a controllare al massimo le spese – e dunque a eliminare quanto più possibile sprechi e corruzione.
In particolare i 611 deputati dovranno affrontare lo spinoso problema di circa un milione di lavoratori – il 20% della forza lavoro del paese – che risultano in esubero e le decisioni per creare nuovi posti per questa enorme massa di lavoratori. Le opzioni sono varie ma tutte richiedono riforme, «perché le scelte politiche attuali non si sono mostrate in grado di generare nuovi posti di lavoro», afferma un economista governativo che non vuole essere citato
Proprio per questa ragione Fidel sarebbe di fatto sceso in campo – in 9 giorni ha partecipato a 4 eventi di alto livello, oltre a una visita all’acquario della capitale – dopo 4 anni di recesso dopo la una grave malattia. Il líder maximo ha conservato la carica di primo segretario del Partito comunista, ma soprattutto ha mantenuto il suo grande carisma presso la popolazione cubana. Per quanto nulla trapeli nei mass media, è assai probabile che la volontà espressa da Raúl di risolvere il problema dei prigionieri politici, come pure la riduzione del wellfare sociale siano tema di discussione all’interno del Pc e del governo. «E’ possibile che Fidel abbia deciso di elevare il suo profilo pubblico proprio per dimostrare alla popolazione che è in buona salute, lucido, e pronto a far sentire il suo peso, specie in politica estera», sostiene un diplomatico europeo. Più netto Guillermo Fariñas, il dissidente che ha attuato ben 135 giorni di sciopero della fame per ottenere la liberazione dei prigionieri politici: «Si tratta di un sostegno seppur indiretto» alle decisioni di Raúl, ha dichiarato.·
La questione della liberazione dei detenuti politici – ieri altri 5 sono giunti a Madrid – non è tema di discussione pubblica, ma rimane in controluce. Anche perché restano aperti molti interrogativi. E gli Stati uniti sembrano intenzionati a non lasciare che la questione sia gestita solo dalla chiesa cattolica cubana e dalla diplomazia spagnola. Nei giorni scorsi nella Sezione di interesse Usa all’Avana (una sorta di ambasciata) vi è stata una riunione con i familiari di sei detenuti ancora in carcere e che non intendono andare in Spagna una volta messi in libertà. Ai quali è stato consigliato di chiedere un visto individuale e non collettivo, per facilitare le operazioni di ammissione negli Stati uniti come rifugiati politici. Alla riunione erano stati invitati rappresentanti della chiesa cubana e della diplomazia spagnola. Entrambi hanno declinato l’invito.

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