G8. È attesa per oggi la sentenza di terzo grado contro i responsabili della «macelleria» di Genova. La conferma delle condanne in appello dei 25 poliziotti sarebbe un fatto storico, non solo giuridico
G8. È attesa per oggi la sentenza di terzo grado contro i responsabili della «macelleria» di Genova. La conferma delle condanne in appello dei 25 poliziotti sarebbe un fatto storico, non solo giuridico
GENOVA. Quella notte non ce la siamo sognata. Era il 21 luglio 2001. Il G8 era passato. Il giorno prima era morto negli scontri un ragazzo genovese, Carlo Giuliani. Il giorno stesso il corteo pacifico di 300 mila persone che contestava la globalizzazione selvaggia era stato caricato e diviso in due spezzoni. Un pezzo era arrivato incolume allo stadio di Marassi per sentire Giuni Russo cantare. La maggior parte erano stati caricati pesantemente da guardia di finanza e polizia in corso Italia e piazza Rossetti dopo che presunti black block o veri teppisti avevano acceso falò per un paio d’ore a un passo dalla fiera, dove erano di stanza le forze di polizia.
La sera sembrava che tutto dovesse calmarsi. Gli otto erano partiti, il vertice era finito. I treni avevano ripreso a viaggiare già venerdì sera, anche se il blocco aereo, i container, le grate nel centro storico rimandavano ancora l’odore dei gas Cs. Centinaia di manifestanti venuti da tutta Italia se n’erano già andati con i pulmann. Centinaia dormivano allo stadio Carlini o alla Pertini o alla Diaz. Tutti pensavano che il peggio fosse passato. Invece dopo le undici di notte circola la notizia dell’assalto alla Diaz. Alcuni cronisti erano già là, chiamati dall’ufficio stampa del Viminale per assistere a un’operazione di polizia che avrebbe dovuto arrestare i black block. Altri vengono avvertiti da chi si è salvato dalle manganellate alla Pertini e ora grida in strada «Genova libera», mentre i feriti escono ancora in barella, vengono caricati sulle ambulanze e poi escono dei sacchi neri. I carabinieri fanno la guardia con gli scudi spianati sotto le luci dei riflettori mentre un elicottero ronza senza sosta sulla testa di tutti. Quando l’operazione è terminata arretrano.
Chi entra fra i primi nella scuola vede lo sconquasso, macchie di sangue ovunque, qualcosa di gelatinoso, vestiti ammassati, sacchi a pelo, oggetti. La scena è agghiacciante. Non c’è niente da sospettare, niente da capire. Lì c’è stata una mattanza.
A quasi undici anni da quella notte oggi o forse domani, i giudici di Cassazione dovrebbero dire se ci sono dei responsabili, ad esempio i 25 poliziotti condannati in appello a oltre 85 anni, molti dei quali oggi e allora ai vertici di polizia, intelligence internazionali e servizi segreti. Dei reati l’unico non ancora prescritto è il falso (fino al 2014), ma se venissero condannati almeno sarebbero sospesi dagli incarichi per 5 anni. Altrimenti i giudici potrebbero rimandare tutti gli atti in appello. Oppure assolvere chi non firmò materialmente i verbali falsi (Luperi e Gratteri). O ancora condannare solo quelli del VII nucleo, Vincenzo Canterini e i quattro capisquadra.
«Il punto è che non si tratta solo di una questione di diritto – dice Lorenzo Guadagnucci, giornalista e parte lesa, oggi portavoce del comitato Verità e giustizia – non si tratta solo di valutare le carte, la legittimità dello svolgimento del processo. Di fatto la sentenza si trasforma in un giudizio sulla permanenza o meno dei vertici della polizia italiana odierna, perchè le pene accessorie di cinque anni, in caso di conferma delle condanne, prevedono l’interdizione dei pubblici uffici e quindi non potrebbero più fare il loro mestiere nè Luperi nè Gratteri nè Caldarozzi».
Giovanni Luperi era vicedirettore dell’Ucigos, oggi è capo dipartimento analisi dell’Aisi. Francesco Gratteri, allora capo dello Sco, oggi è alla direzione anticrimine. Gilberto Caldarozzi, past vice di Gratteri, oggi è alla direzione dello Sco. «La posta in gioco è questa – continua Guadagnucci – siamo in questa situazione per l’arroganza dei vertici politici e di polizia di allora. Se si fossero dimessi allora o fossero stati sospesi come succede nei paesi democratici, il giudizio sarebbe stato libero. Invece ci sono state forme di pressione indebita, scandalose, in questi anni, e anche la promozione recente di De Gennaro va in quella direzione». Gianni De Gennaro, che secondo la Cassazione non fece pressioni sull’allora questore genovese Colucci al processo per la Diaz, dall’11 maggio è sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri del governo Monti, allora era capo della polizia. «Vorrei che la Cassazione desse una prova di indipendenza, riuscisse a limitarsi a un giudizio tenico-giuridico – conclude Guadagnucci – ma mi rendo conto che non ci sono le condizioni per pensare una cosa del genere». Per di più oggi la legge Pecorella permette che in Cassazione si entri nel merito del processo grazie al cosidetto travisamento della prova. Quindi la corte potrebbe non giudicare solo su aspetti procedurali.
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