I (pochi) soldi nella pancia del «fondo salvastati» che passano per le mani della Banca centrale europea che finiscono nelle bocche affamate degli stati indebitati, mentre i soldi stampati (senza limiti) dalla Banca centrale vanno direttamente nelle tasche delle banche private. Lo stomaco vuoto dell’austerità che diventa un muscoloso «patto per la crescita e il lavoro», mentre i tagli alla spesa pubblica si trasfigurano in solide gambe della ripresa. L’effetto del Consiglio europeo chiuso ieri a Bruxelles è questo intreccio di contorsioni e di immagini illusorie.
I (pochi) soldi nella pancia del «fondo salvastati» che passano per le mani della Banca centrale europea che finiscono nelle bocche affamate degli stati indebitati, mentre i soldi stampati (senza limiti) dalla Banca centrale vanno direttamente nelle tasche delle banche private. Lo stomaco vuoto dell’austerità che diventa un muscoloso «patto per la crescita e il lavoro», mentre i tagli alla spesa pubblica si trasfigurano in solide gambe della ripresa. L’effetto del Consiglio europeo chiuso ieri a Bruxelles è questo intreccio di contorsioni e di immagini illusorie. Un’Europa che si sforza di trasmettere l’immagine di «fare qualcosa» dentro la paralisi dell’assetto istituzionale europeo. Italia e Spagna saltano sui carboni ardenti dei tassi d’interesse record sul debito pubblico, la Francia corre verso il miraggio di una politica per la crescita, la Germania inamovibile che vuole diventare il sistema nervoso che controlla ogni movimento di questo stranissimo corpo europeo. Un vertice fatto di ricatti incrociati, sussulti d’orgoglio e affondo tedesco sul potere di controllo centrale sui conti dei paesi in difficoltà.
Solo su una cosa i paesi membri si muovono tutti insieme: la tutela della finanza. Da Bruxelles sono venute tutte misure che proteggono la speculazione, salvano le banche – a cominciare da quelle spagnole -, «rassicurano i mercati»; la tassa sulle transazioni finanziarie è ancora una volta rinviata: non si sa chi ci sta, quanto si tassa, quando entrerà in vigore. La politica ha rinunciato anche al più piccolo scontro con la finanza che le avrebbe dato un po’ di tregua contro la speculazione.
Lo sforzo per uscire dalla recessione è illusorio, i 120 miliardi di euro sono soldi fittizi, il «patto per la crescita» serve soltanto al presidente francese Hollande per tornare a Parigi con una contropartita simbolica per la sua resa sul «fiscal compact» annunciata proprio ieri.
Inevitabile che queste complicate metamorfosi creino una crisi d’identità; di qui il rapporto sulla «Vera unione economica e monetaria» presentato dai quattro potenti d’Europa che dovrebbe diventare la corsia preferenziale per l’ennesima trasformazione dell’Europa, un animale che finirà per assomigliare ancora più ai mercati e meno alla democrazia. Che Mario Monti abbia ottenuto alcune di queste contorsioni è una piccola novità sulla scena europea. Che, passati i brindisi nelle Borse di ieri, queste avvicinino l’uscita dalla crisi è la più amara delle illusioni costruite a Bruxelles.
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