NEW YORK — «Per capire quanti anni ha una sequoia bisogna tagliare il tronco e contare gli anelli. Se la sequoia avesse un collo non ce ne sarebbe bisogno», ironizzava nel suo bestseller Il collo mi fa impazzire (Feltrinelli) spiegando al Corriere di aver scritto un libro sulla terza età «perché ho sempre odiato la gente che sostiene che invecchiare è bello, che si diventa saggi, liberi e felici. È vero il contrario e prima o poi la fortuna ti abbandona».
NEW YORK — «Per capire quanti anni ha una sequoia bisogna tagliare il tronco e contare gli anelli. Se la sequoia avesse un collo non ce ne sarebbe bisogno», ironizzava nel suo bestseller Il collo mi fa impazzire (Feltrinelli) spiegando al Corriere di aver scritto un libro sulla terza età «perché ho sempre odiato la gente che sostiene che invecchiare è bello, che si diventa saggi, liberi e felici. È vero il contrario e prima o poi la fortuna ti abbandona».
Cinque anni più tardi, quella triste profezia si è avverata. La 71enne Nora Ephron, una delle scrittrici più irriverenti e prolifiche d’America, è morta martedì notte in un ospedale di Manhattan a causa di una polmonite dovuta alla leucemia che l’affliggeva da anni ma che, secondo l’amica scrittrice Sally Quinn, «aveva tenuto nascosta perché odiava essere commiserata».
Giornalista, blogger, saggista, sceneggiatrice e regista, aveva ottenuto tre nomination all’Oscar per la miglior sceneggiatura originale di Silkwood, Harry ti presento Sally e Insonnia d’amore, tre degli hit internazionali più popolari di tutti i tempi. «Era una delle rare donne di Hollywood che è riuscita a imporsi in un mondo ancora maschile e maschilista», teorizza l’autorevole rivista Atlantic. «Era la femminista più divertente del mondo — aggiunge — che ha usato lo straordinario dono dell’umorismo per combattere la misoginia e l’ineguaglianza ancora imperanti».
Salon.com denuncia come vergognosa la sua esclusione dall’Oscar «che meritava ben più di tanti colleghi uomini come Matt Damon e Kevin Costner» (l’unica donna a portare a casa la statuetta per la regia resta Kathryn Bigelow, nel 2010 con The Hurt Locker). Tutti a Hollywood la consideravano una pioniera. «Prima di Nancy Meyers, di Sofia Coppola, di Julie Delpy e di Nicole Holofcener c’era Nora Ephron», scrive la critica cinematografica Christy Lemire.
Le tante star che hanno vestito i panni delle sue eroine — donne intelligenti, forti ma anche vulnerabili — la ricordano come «una fuoriclasse». «Lavorare con lei era un privilegio perché capiva le esigenze particolari di un’attrice molto più a fondo dei colleghi uomini», afferma Meg Ryan che deve alla Ephron la sua reputazione di «fidanzata d’America». «Era un’esperta in tutto, — le fa eco Meryl Streep, amica personale dai tempi di Silkwood — la chiamavamo per informazioni su dottori, ristoranti, ricette. O solo per tirarci su il morale». La sua grande fortuna era stata quella di nascere in una famiglia ebrea molto cosmopolita di sceneggiatori, che nel ’45 si trasferirono da New York a Beverly Hills dove Nora e le sue due sorelle minori (tutte scrittrici) trascorsero l’infanzia frequentando leggendari sceneggiatori quali Julius J. Epstein (Casablanca), Albert Hackett e Frances Goodrich (La vita è meravigliosa, L’uomo ombra). Dopo la laurea al Wellesley College (alma mater di Hillary Clinton), lavora come stagista nella Casa Bianca di JFK. «Ho passato sei settimane a studiare il modo per acchiappare anche solo un suo sguardo — ha ricordato al Corriere nella stessa intervista del 2007 — ma resto forse l’unica donna a cui JFK non ha mai fatto il filo e a dire la verità sono ancora amareggiata per lo sgarbo».
Ad annunciare la sua morte è stato Jacob Bernstein, uno dei due figli nati dal suo matrimonio con Carl Bernstein, il leggendario giornalista del Watergate da cui divorziò nel 1980, dopo aver scoperto che la tradiva. Due anni più tardi, quando decise di vendicarsi scrivendo l’autobiografico Affari di cuore (con la Streep e Jack Nicholson) Bernstein minacciò di farle causa.
L’anno dopo, Ephron convolò a nozze col terzo marito, lo scrittore di Quei bravi ragazzi Nicholas Pileggi. «Nick è un italiano purosangue — confessò al Corriere — mi ha insegnato tante cose del Bel Paese, soprattutto culinarie. Andiamo in Italia una volta l’anno e la amiamo sfrenatamente». Il suo epitaffio sono le sei parole biografiche contenute in Not quite what I was planning: six-word memoirs by writers famous and obscure, curato nel 2009 da Larry Smith: «Il segreto della vita è sposare un italiano».
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