«Il lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio», la gaffe di Fornero battezza l’approvazione del suo ddl
«Il lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio», la gaffe di Fornero battezza l’approvazione del suo ddl
Quarta e ultima fiducia alla camera: 393 sì, 74 no e 46 astenuti. Metà Pdl non vota. Proteste di Cgil e Fiom in tutta Italia La riforma del lavoro di Elsa Fornero ha avuto l’ok definitivo della camera, e adesso è legge. Il testo ha incassato quattro fiducie a Montecitorio, così come era stato a Palazzo Madama. Il governo ha preferito blindarlo per avere la certezza di portare a casa il risultato politicamente più importante: ovvero mettere la riforma sul tavolo del Consiglio europeo che si apre oggi, così come il premier Mario Monti aveva annunciato. Il cammino, comunque, è stato più che accidentato, a causa delle proteste dei sindacati (in particolare la Fiom e la Cgil), e la contrarietà di alcuni pezzi del parlamento. Perfino del Pdl, si è visto ieri al momento del voto: la legge è infatti passata con 393 sì, 74 no e 46 astenuti; 87 deputati del Pdl su 209 hanno fatto mancare il loro sostegno al governo.
«La riforma del lavoro apre un percorso di novità positive, se qualcosa può essere aggiustata lo faremo con l’appoggio dei partiti che sostengono il governo -ha commentato la ministra del Welfare Fornero – Intanto l’importante è farla partire». Fornero ieri è stata al centro delle polemiche anche a causa di una sua intervista al Wall Street Journal. La ministra ha affermato che «il lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio». Sono così piovute le critiche, e dal ministero è partita una nota di rettifica: «Il diritto al lavoro non è mai stato messo in discussione come non potrebbe essere mai visto quanto affermato dalla nostra Costituzione – si legge nel comunicato del dicastero del Welfare – Nell’intervista al quotidiano statunitense il ministro ha fatto riferimento alla tutela del lavoratore nel mercato e non a quella del singolo posto di lavoro».
Intanto, mentre in aula si procedeva alle votazioni definitive, per le strade di Roma le proteste di sindacati e movimenti si sono sempre più intensificate, e diverse altre manifestazioni si sono tenute anche in tante città italiane. Diverse decine di esponenti dei Cobas, prima di dirigersi in corteo verso Montecitorio, nel loro percorso hanno esploso fumogeni, lanciato uova e frutta ed esposto cartelli con scritto: «Monti, Alemanno, Fornero, Roma vi rimbalza». Intanto dal suo presidio sotto la Camera, la Cgil faceva sapere che non si rassegnerà: «La partita sulla riforma del mercato del lavoro è ancora aperta e noi non ci rassegniamo – ha detto la segretaria Cgil Serena Sorrentino – Il disegno di legge va cambiato, per noi le emergenze vere sono gli ammortizzatori sociali e il contrasto alla precarietà. Così com’è, la riforma determina più incertezze e maggiori contenziosi, mentre in questa fase più che di regole abbiamo bisogno di nuova occupazione».
Un miglioramento del testo lo chiede – ovviamente da un altro punto di vista – il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi: «Anche nei momenti più vivaci della polemica avevo detto che la riforma andava comunque approvata entro il 28 giugno, se questo lo chiedeva l’Europa. La replica di Fornero non si fa attendere: «Il governo – dice – ha avuto un dialogo di circa tre mesi con le parti sociali per arrivare a un documento condiviso, da tutti tranne che dalla Cgil».
Chi invece il testo non ci pensa proprio a cambiarlo, o al massimo, se proprio si deve, sugli ammortizzatori sociali, è il segretario Cisl Raffaele Bonanni: «Meno si tocca il testo e meglio è, perché lo si vuole toccare solo per peggiorarlo», spiega. Sugli ammortizzatori, per Bonanni «bisognerebbe allungare i tempi per utilizzare il nuovo criterio dell’Aspi».
Ma alla camera la discussione è stata in realtà più accesa su alcuni elementi di «contorno» che non sulla sostanza del ddl. Il deputato Pd Roberto Giachetti ha attaccato con un tweet il neoeletto sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. Il fatto è che il governo, tra gli altri, ha dato l’ok a un ordine del giorno presentato dal Orlando. E allora Giachetti, spazientito, gli ha ricordato che appena eletto primo cittadino avrebbe dovuto dimettersi da parlamentare: «Camera: il sindaco di Palermo Leoluca Orlando è ufficialmente tra noi – scrive Giachetti – ha presentato un ordine del giorno sul lavoro. Vergogna dimettiti!».
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