L’Antimafia: basta attacchi Ma i pm restano divisi

«Trattativa», critiche alle conclusioni dell’inchiesta

«Trattativa», critiche alle conclusioni dell’inchiesta

PALERMO — Ai tempi di Falcone e Borsellino — quando i veleni si mescolavano con le accuse reciproche, e i contrasti sui processi nascondevano divisioni profonde — si chiamavano «paciate»: termine siciliano per definire atti di formale pacificazione che, nella realtà, servivano solo a nascondere la polvere sotto il tappeto, fino allo scontro successivo. Da allora di «paciate» ce ne sono state tante, anche dopo le stragi che uccisero i due magistrati simbolo della lotta alla mafia ma non cancellarono i conflitti interni all’Antimafia. E forse ieri ce n’è stata un’altra, per provare a sopire le polemiche suscitate dalle conclusioni dell’inchiesta sulla presunta trattativa fra lo Stato e Cosa Nostra.
Al termine della riunione convocata tra tutti i pubblici ministero che si occupano di indagini sui clan, i 23 magistrati presenti hanno sottoscritto un documento nel quale esprimono «pieno e incondizionato sostegno ai colleghi titolari dell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa». I quali «sono stati oggetto di ripetuti attacchi esterni fondati su un’errata, se non inesistente, conoscenza degli atti e spesso ispirati da palesi intenti strumentali».
Il riferimento è ai commenti seguiti alla pubblicazione di alcuni atti, in particolare le intercettazioni telefoniche tra uno degli indagati eccellenti — l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino — con il consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio. Come quello dell’ex leader dell’Udc Casini, che ha parlato di «schegge della magistratura che forse hanno obiettivi intimidatori». Ma ci sono stati interventi anche più salaci e personalizzati.
Contro questi «attacchi» i pm della Direzione distrettuale antimafia, dal procuratore in giù, si schierano a difesa di chi ha firmato il provvedimento di chiusura delle indagini — il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e i sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene — per ribadire «senza riserve la correttezza del loro operato». Ribadendo però «la necessità della più ampia ed esauriente circolazione delle informazioni all’interno della Dda».
Quella sulla «circolazione delle informazioni» è una vecchia diatriba, che risale alle diverse gestioni della Procura; sollevata in questo caso da chi, occupandosi di altri processi dove magari compaiono alcuni dei testimoni utilizzati in questa indagine, lamenta di aver letto sui giornali atti o deliberazioni senza averne prima discusso all’interno dell’ufficio. Una questione che riguarda il metodo con cui s’è arrivati a certe conclusioni, sul quale è stata ritrovata l’unità necessaria a evitare un pericoloso «isolamento» dei colleghi più esposti, paventato da qualcuno.
Mancano gli apprezzamenti sul merito di un’indagine da cui, alla fine, s’è platealmente dissociato il procuratore Francesco Messineo. Certo, formalmente la sua firma sotto l’atto di «chiusa inchiesta» non era necessaria, ma il dissenso del capo dell’ufficio dal procedimento più significativo ed enfatizzato della sua gestione è certamente un’anomalia. Così come è un’anomalia l’astensione di uno dei pm a cui era stato assegnato il fascicolo, Paolo Guido, che nella riunione di ieri ha ribadito i motivi per cui non ha condiviso le conclusioni dei colleghi: in particolare le accuse mosse all’ex generale dei carabinieri Subranni e all’ex ministro Mannino, contro i quali ci sarebbero insufficienti elementi a carco e (per Mannino) un’assoluzione definitiva che peserebbe anche sulle novità emerse ora; e poi quelle al senatore Dell’Utri, che pure è stato già processato e in parte assolto per i fatti di mafia successivi al 1992.
La necessità di difendere i titolari dell’indagine dagli attacchi esterni, però, ha di fatto impedito un dibattito aperto e libero dal timore di strumentalizzazioni sul contenuto di critiche e dissensi. Il procuratore aggiunto Teresa Principato, che quasi vent’anni fa avviò l’indagine su Mannino facendolo arrestare, protagonista nei giorni scorsi di severe ma «private» critiche ai colleghi, nell’assemblea di ieri ha preferito non intervenire e andarsene prima che venisse stilato e votato il documento di solidarietà. E così la «paciata» è stata approvata all’unanimità.

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