Furono otto le telefonate tra l’ex ministro e il Colle

 “I pm mi stanno addosso” Il pressing per evitare il confronto con Martelli   

 “I pm mi stanno addosso” Il pressing per evitare il confronto con Martelli   

PALERMO — Non era solo il «mancato coordinamento» nelle indagini sulla trattativa mafiaistituzioni a preoccupare il senatore Nicola Mancino. Quello era stato uno spunto per scrivere al Quirinale, sollecitando un intervento. Le intercettazioni disposte dalla procura di Palermo dicono che Mancino era preoccupato soprattutto di finire indagato nell’inchiesta sulla trattativa: dalla fine di novembre all’inizio di aprile scorso, l’ex ministro dell’Interno ha telefonato otto volte a uno dei consiglieri del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il magistrato Loris D’Ambrosio. In quelle conversazioni,
registrate dalla Dia, si fa solo un accenno al «mancato coordinamento » (o presunto tale) nelle indagini condotte dalle procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze. Mancino chiede soprattutto a D’Ambrosio di poter evitare il confronto a cui i magistrati di Palermo sembrano particolarmente interessati, fra lui e l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli.
È il 5 marzo scorso, ore 10.17, Mancino chiama D’Ambrosio dal suo cellulare. È un lungo sfogo, che si conclude con una rassicurazione da parte del consigliere del presidente della Repubblica: «Domani andiamo a Torino,
gliene parlerò».
Ma a Mancino non basta. E le telefonate al Colle proseguono, nonostante l’ex ministro democristiano sia ancora un semplice testimone dell’inchiesta sulla trattativa: a fine febbraio, i pm di Palermo l’hanno persino ribadito nell’aula del tribunale dove due ufficiali del Ros, Mario Mori e Mauro Obinu, vengono processati
per la mancata cattura del boss Provenzano. Mancino è stato citato dalla difesa del generale Mori e ripete: «Mai saputo nulla di una trattativa».
Ma Mancino continua ad apparire preoccupato al telefono. E con D’Ambrosio si lamenta apertamente delle «pressioni» sulle indagini esercitate da alcuni magistrati,
in particolare Nino Di Matteo, della procura di Palermo, e Domenico Gozzo, della procura di Caltanissetta. Il primo è il protagonista dell’inchiesta sulla trattativa mafia-Stato. Il secondo indaga sui misteri della strage di via d’Amelio, che sarebbe stata accelerata dai boss proprio perché Borsellino avrebbe
scoperto il dialogo segreto fra pezzi dello Stato e i vertici della mafia.
Mancino torna a chiamare D’Ambrosio il 7 marzo, alle 9 e mezza del mattino. E poi il 27 marzo, il 3 e il 5 aprile, quasi sempre di buon’ora. Mancino ha ricevuto una citazione da parte del procuratore aggiunto Ingroia e
dai sostituti Di Matteo, Guido e Sava. Adesso, è davvero adirato. Il confronto con Martelli è stato disposto comunque, per l’11 aprile, negli uffici della Dia di Roma. E quel giorno, davanti a Mancino, si presenta la procura di Palermo al gran completo, arriva persino il procuratore capo Messineo, che ufficialmente ha scelto di non essere titolare dell’indagine.
Quell’11 aprile, Mancino capisce che la sua posizione sta davvero cambiando. Ma da quel giorno, non c’è nessun’altra telefonata con il consigliere del presidente Napolitano. Le ultime due conversazioni annotate nel brogliaccio della Dia risalgono al 3 e al 5 aprile: «Ore 9.09 e ore 12.28». L’ultima mossa di Mancino è stata
una lettera ufficiale al Quirinale, per segnalare il «mancato coordinamento » nelle indagini sulla trattativa. Il 4 aprile, come reso noto ieri dal Quirinale, la lettera di Mancino viene inviata dal segretario generale della presidenza della Repubblica al procuratore generale presso la Cassazione. Pochi giorni fa, i pm hanno deciso infine di indagare Mancino per falsa testimonianza. È stato il confronto con l’ex ministro della Giustizia ad aver segnato la svolta: «Nel luglio ‘92, gli chiesi conto del perché il Ros stesse dialogando con Ciancimino», ha messo a verbale Martelli. Mancino continua a negare quel colloquio.

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