Mancino, ecco la lettera del Quirinale ai giudici

Stato-mafia, Napolitano chiese più coordinamento tra procure. “Agì secondo le sue prerogative”   

Stato-mafia, Napolitano chiese più coordinamento tra procure. “Agì secondo le sue prerogative”   

ROMA. — «Illazioni irresponsabili». Così, in una lunga e durissima nota ufficiale che ricostruisce tutti i passaggi della vicenda, il Quirinale stronca ogni dubbio e sospetto su un intervento del Colle nel pasticciaccio brutto della trattativa fra mafia e pezzi dello Stato del ‘92-’93. Nessuna manovra per «coprire» Nicola Mancino e condizionare il lavoro dei magistrati, da Giorgio Napolitano è partita il 4 aprile scorso solo una richiesta al pg della Cassazione per valutare «esigenze di coordinamento » delle tre diverse procure impegnate nelle indagini.
Il capo dello Stato lo ha fatto nel pieno «rispetto delle proprie responsabilità e nei limiti delle proprie prerogative». Perciò, nessun giallo, «parlare di misteri al Quirinale è risibile». La botta è al titolo del Fatto quotidiano che ieri, dopo la notizia anticipata da Repubblica delle intercettazioni telefoniche fra Mancino e Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico di Napolitano, ha messo il Colle nel mirino.
L’ex ministro dell’Interno nelle telefonate chiede aiuto, dice di sentirsi abbandonato e fa riferimento ad altre responsabi-lità, citando Scalfaro. D’Ambrosio al giornale di Padellaro conferma le chiamate, opponendo però il top secret alle decisioni assunte in merito al pressing dal capo dello Stato. Da qui i sospetti lanciati su un tentativo di insabbiamento per salvare Mancino. Ma un consigliere del presidente come appunto D’Ambrosio, s’arrabbiano al Quirinale, per «ovvie ragioni
di correttezza istituzionale è tenuto al più rigoroso riserbo».
Sconcerto, dunque, e grandissima irritazione sul Colle quando di prima mattina leggono il tutto. L’attacco appare frontale e denso di implicazioni, sferrato com’è su una vicenda delicatissima. Gasparri, il capo dei senatori del Pdl, si inserisce sulla scia e parte a testa bassa con una richiesta di chiarimenti. Al termine di una giornata ad alta tensione, in serata il Colle sceglie di passare al contrattacco.
Sì, rende noto la presidenza della Repubblica, arrivarono in effetti le telefonate e una lettera di Mancino che, attraverso il consigliere D’Ambrosio, «rappresentavano » a Napolitano le lamentele dell’ex presidente del Senato che si sentiva messo sotto tiro. I tempi sono importanti. Perché all’epoca delle sollecitazioni, tengono a sottolineare al Quirinale, Mancino non era ancora indagato ma solo un testimone nella vicenda della trattativa, come persona informata dei fatti. Il presidente
della Repubblica, attraverso il suo segretario generale Marra, a quel punto prende una decisione: trasmette la lettera di Mancino al procuratore generale della Cassazione. Perché? Per « richiamare l’attenzione » di Esposito sui problemi di coordinamento fra le tre procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze. Specie al fine di «dissipare le perplessità che derivano dalla percezione di gestioni non unitarie delle indagini collegate», i cui esiti possono anche «incidere sulla coerenza dei successivi percorsi processuali». Per evitare insomma, come Napolitano ha in altri casi analoghi rilevato davanti al Csm, «l’insorgere di contrasti ed assicurarne il sollecito superamento», proprio ed esclusivamente «al fine di pervenire tempestivamente all’accertamento della verità su questioni rilevanti». E nel caso specifico ai fini della lotta contro la mafia e di «un’obbiettiva ricostruzione della condotta effettivamente tenuta, in tale ambito, da qualsiasi rappresentante dello Stato ». L’inchiesta sulla trattativa fra mafia e Stato, insomma, deve andare avanti.

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