ROMA — Nel primo decennio dell’euro sono aumentati i redditi dei professionisti e dei lavoratori autonomi mentre quelli degli operai e dei commessi sono diminuiti. L’ultima crisi invece ha colpito tutti, eccetto pensionati e statali. La relazione annuale di Bankitalia conferma quanto già emerso alcuni mesi fa da uno studio dell’Ocse: tra il 2000 e il 2010 le retribuzioni reali dei nuclei con capofamiglia operaio, commesso o apprendista sono scese del 3,2%, mentre quelle con capofamiglia lavoratore autonomo sono aumentate del 15,7%. Una differenza dunque del 20% tra le due categorie di impiego che porta la media nei due lustri ad una crescita dei redditi ad appena il 6,2%. Stabile quelli del pubblico impiego.
ROMA — Nel primo decennio dell’euro sono aumentati i redditi dei professionisti e dei lavoratori autonomi mentre quelli degli operai e dei commessi sono diminuiti. L’ultima crisi invece ha colpito tutti, eccetto pensionati e statali. La relazione annuale di Bankitalia conferma quanto già emerso alcuni mesi fa da uno studio dell’Ocse: tra il 2000 e il 2010 le retribuzioni reali dei nuclei con capofamiglia operaio, commesso o apprendista sono scese del 3,2%, mentre quelle con capofamiglia lavoratore autonomo sono aumentate del 15,7%. Una differenza dunque del 20% tra le due categorie di impiego che porta la media nei due lustri ad una crescita dei redditi ad appena il 6,2%. Stabile quelli del pubblico impiego.
«I dati di Bankitalia ci dicono che c’è un problema di impoverimento del Paese, e soprattutto di progressiva disuguaglianza dei redditi». Così la segretaria della Cgil, Susanna Camusso, ha commentato la ricerca degli economisti di via Nazionale. «Il rigore — ha continuato — non ci permetterà di uscire dalla crisi, bisogna sostituire queste politiche di rigore con politiche di investimento e redistribuzione del reddito». Devono essere «tassati di più la ricchezza e i grandi patrimoni — ha concluso Camusso — e bisogna alleggerire il peso fiscale sui lavoratori dipendenti, i pensionati e le basse retribuzioni».
Un quadro che conferma quanto già conosciuto a livello europeo e che all’Italia dei Valori suggerisce di predisporre un vero e proprio «piano per il lavoro». «Le cifre di Bankitalia e le stime Istat sulla disoccupazione giovanile dimostrano quanto sia sempre più urgente e non più rinviabile — ha affermato il responsabile lavoro Maurizio Zipponi — un piano nazionale per il lavoro che stabilisca un semplice criterio: a parità di lavoro deve esserci parità di salario». Per l’ex sindacalista Fiom «il governo Monti, invece, ha pensato esclusivamente alla parità tra banchieri e a sottoporre il controllo dell’economia reale al mondo dei poteri forti e delle banche».
Continuando nell’analisi dello studio di Palazzo Koch emerge che, se si osserva solo il periodo della crisi (dal 2007 ad oggi), il calo è consistente non solo per il reddito reale disponibile delle famiglie di operai (da 14.485 euro del 2006 a 13.249 del 2010, con un -8,5%) ma anche per quello delle famiglie di dirigenti (passate da 35.229 euro del Duemila a 43.825 del 2006 e a 38.065 del 2010, con un calo negli ultimi quattro anni considerati del 13,1%). Anche i lavoratori autonomi, commercianti, artigiani liberi professionisti sono passati da 28.721 euro del 2006 a 26.136 euro del 2010 con una riduzione del 9%. Hanno invece tenuto, dal 2006 al 2010, i redditi reali delle famiglie di impiegati, quadri e insegnanti (da 21.344 euro a 21.311) mentre hanno avuto un lieve avanzamento i redditi dei nuclei con capofamiglia pensionato (da 18.579 a 19.194 e un +3,3%). Il reddito medio disponibile delle famiglie era nel 2010 di 22.758 euro in media nel Centro Nord e di 13.321 euro nel Sud e nelle Isole.
Anche l’Ugl ha reagito. «E’ l’ennesima dimostrazione che il ceto medio basso si è impoverito — ha detto il segretario generale Giovanni Centrella — e che bisogna fare qualcosa di concreto per invertire questa tendenza, a partire da una riforma fiscale, passando per il decreto sviluppo». Centrella ha poi ricordato che il suo sindacato «nel mese di giugno ha avviato una campagna di raccolte firme su due petizioni popolari per l’abolizione dell’Imu sulle prime case, escluse quelle di lusso, e per detassare le buste paga di operai, impiegati e pensionati, ricorrendo anche al criterio del quoziente familiare».
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