La fabbrica del discorso politico alla corte di Hollande

PARIGI — A Henri Guaino, seduto in prima fila, capitava di sussurrare le parole che il presidente Sarkozy stava declamando nello stesso istante dalla tribuna: Guaino conosceva benissimo quelle frasi, perché le aveva scritte lui. Forse solo in Francia i discorsi degli uomini politici sono tenuti in così grande considerazione, tanto che chi li redige assume un ruolo fondamentale nell’équipe del presidente.

PARIGI — A Henri Guaino, seduto in prima fila, capitava di sussurrare le parole che il presidente Sarkozy stava declamando nello stesso istante dalla tribuna: Guaino conosceva benissimo quelle frasi, perché le aveva scritte lui. Forse solo in Francia i discorsi degli uomini politici sono tenuti in così grande considerazione, tanto che chi li redige assume un ruolo fondamentale nell’équipe del presidente.
La retorica, in particolare quella presidenziale, è importante perché non solo di stile si tratta. Non a caso la plume di François Hollande, Aquilino Morelle, è stato appena nominato «consigliere politico» e occupa uno dei cinque posti chiave dell’Eliseo: a lui si chiede di mettere in bella copia le idee del capo, ma anche di suggerirgliene di nuove, in una miscela di parole, slanci ideali e impegni concreti nella quale diventa talvolta difficile distinguere dove finisce il contributo di uno e comincia quello dell’altro.
Per il delicato ruolo di penna del presidente, come per quello di responsabile della sicurezza (una donna, Sophie Hatt), Hollande ha pescato tra gli ex collaboratori dell’ex primo ministro Lionel Jospin: Aquilino Morelle scrisse i discorsi del premier dal 1997 al 2002 e, dopo avere sostenuto Arnaud Montebourg nella campagna per il «no» al Trattato europeo nel 2005, a gennaio il medico figlio di un operaio spagnolo è stato chiamato da Hollande a elaborare le frasi decisive nei meeting di Bourget, con quello stile semplice — «Io amo le persone mentre altri sono affascinati dal denaro», per esempio — che ha contribuito a segnare la distanza del «presidente normale» dai discorsi infiammati e pieni di citazioni del predecessore.
«La campagna elettorale per me è cominciata nell’urgenza — ha raccontato Morelle —. Il 2 gennaio Hollande mi ha chiesto di aiutarlo a scrivere la “lettera ai francesi” che sarebbe apparsa su Libération del giorno dopo. Mi ha chiamato a mezzogiorno e mezzo, per le 18 dovevamo avere finito».
È durante la presidenza Sarkozy che il ruolo di penna dell’Eliseo è venuto in primo piano: Sarkozy ha incoraggiato Guaino a parlare al posto suo sulla stampa e in tv, lasciandolo libero di prendere rischi. Qualche volta troppi, per esempio nel 2007 quando nell’ormai celebre discorso di Dakar scritto da Guaino Sarkozy dichiarò che l’arretratezza dell’Africa dipendeva dal fatto che «l’uomo africano non è entrato abbastanza nella Storia», provocando una durevole crisi diplomatica con il Senegal e non solo.
L’allora presidente Abdoulaye Wade disse, non senza humour, che «certe volte capita che un presidente resti vittima del negro!».
Prima delle star Guaino e Morelle, l’Eliseo ha conosciuto plume non meno importanti: Frédéric Salat-Baroux per Jacques Chirac, e il premio Goncourt Erik Orsenna per François Mitterrand. «La fabbrica del discorso è un’arte fragile — spiegò una volta Orsenna —, fatta di complicità, connivenze, una sorta di amore nel quale la fedeltà, e pure la quotidianità, giocano un ruolo decisivo, più ancora che nelle coppie tradizionali».
Una fedeltà che mancò — per fortuna — tra il maresciallo Pétain e Charles de Gaulle. Nel 1929 il primo chiese all’allora giovane luogotenente di scrivergli il discorso di ingresso all’Académie française. De Gaulle accettò, ma il suo testo venne alla fine scartato.

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