Tre giorni a Roma per la Fiera iniziativa degli indipendenti

L’indipendenza è un concetto che esprime, va da sé, una presa di distanza da rapporti di forza esistenti e codificati nella società . Ma in questa distanza si addensano equivoci difficili da dirimere nella pratica comunicativa corrente. Ma se si parla di «indipendenti» nella produzione materiale e culturale, gli equivoci hanno difficile diritto di cittadinanza. Inutile ricordare cosa significa filiera corta e riduzione degli intermediari nella produzione materiale, cioè parole d’ordine politiche di un conflitto che oppone l’attività  resistente di piccole imprese eco-solidali diffuse e radicate nel territorio alla concentrazione di capitali.

L’indipendenza è un concetto che esprime, va da sé, una presa di distanza da rapporti di forza esistenti e codificati nella società . Ma in questa distanza si addensano equivoci difficili da dirimere nella pratica comunicativa corrente. Ma se si parla di «indipendenti» nella produzione materiale e culturale, gli equivoci hanno difficile diritto di cittadinanza. Inutile ricordare cosa significa filiera corta e riduzione degli intermediari nella produzione materiale, cioè parole d’ordine politiche di un conflitto che oppone l’attività  resistente di piccole imprese eco-solidali diffuse e radicate nel territorio alla concentrazione di capitali. Per quanto riguarda la produzione culturale questo significa la valorizzazione di case editrici di qualità rispetto alla concentrazione oligopolista dell’industria culturale.
È in questo contesto che prende avvio oggi a Roma l’iniziativa «Indy gusti non omologati» che vede tra gli organizzatori la casa editrice «DeriveApprodi», la rivista «Alfabeta2», «Radio popolare Roma» e il centro sociale Brancaleone. Per tre giorni, workshop, seminari, degustazione e presentazione di libri all’insegna di una bibliodiversità e biodiversità, ritenute un elemento irrinunciabile a produzioni culturali e materiali non omologate.
Dunque, indipendenza versus omologazione. È questa una scommessa politica che ha le sue radici nelle esperienze culturali, sociali e politiche che considerano il mercato non come un ordine naturale immutabile nel tempo, ma una realtà prodotta socialmente, segnata da rapporti di forza che non attengono solo alla capacità di incidere nella domanda e nella offerta di beni culturali e materiali, ma anche nella diffusione di «manufatti» prodotti in un contesto sottratto alle regole ferree della riproduzione capitalistica della ricchezza.
Ingenuità, è l’accusa che viene rivolta a iniziative di questo tipo. Più realisticamente sono momenti di incontro, di condivisione e di elaborazione su possibili strategie di una produzione di qualità che mettano in relazione produttori e consumatori. Da questo punto di vista, grande attenzione viene data alla critica della precarietà nei rapporti di lavoro, assumendo come nodo politico cosa significa lavorare in una «impresa indipendente». Sian ben chiaro, sono temi che hanno radici antiche. Messi in evidenza nella breve e seminale esperienza del «Critical Book&Wine» che ha scandito negli anni scorsi l’attività di alcuni centra sociali italiani e di spazi autogestiti in giro per l’Italia.
Quello che però differenzia «Indy» dal passato è di essere stata progettata in tempo di crisi. Da qui la rilevanza che hanno argomenti come accesso al credito, condivisione dei problemi per una soluzione altrettanto condivisa per quanto riguarda la distribuzione di manufatti culturali e materiali «non omologati».
Quello che inizia oggi al centro sociale romano Brancaleone (Via Levanna 12. Il programma completo è consultabile al sito: www.indyarea.org) è il rilancio di una scommessa culturale, produttiva e culturale che non si vuol sottrarre al confronto con le asperità della crisi economica. Per tre giorni, dunque, degustazione di buon cibo e vino, seminari, proiezioni di film e possibilità di incontrare produttore e editori che hanno fatto della qualità e dell’attitudine critica verso l’esistente il loro «marchio», cioè quella valorizzazione delle differenze senza la quale l’omologazione è il triste approdo dell’intelligenza collettiva.

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