«Ora la verità  sulla mattanza»

Il nipote, omonimo: le carte sono ancora secretate

Il nipote, omonimo: le carte sono ancora secretate

«Nella famiglia di mio padre erano tutti socialisti, in quella di mia madre tutti comunisti. Sono il primo primo Rizzotto maschio nato dopo il ’48. Furono tutti d’accordo: mi sarei dovuto chiamare Carmelo, come il nonno. E invece mi chiamarono Placido, come lo zio ammazzato». Non fu facile a Corleone e poi a Palermo, portarsi appresso quel nome dello zio sindacalista, socialista, capo delle lotte contadine, ucciso e fatto sparire da una mafia che in quegli anni i ‘paesani’ di Corleone non osavano nominare. Ieri Placido Rizzotto, il nipote, classe ’51, sindacalista anche lui, ha parlato durante i funerali di stato. È stato difficile chiamarsi Rizzotto negli anni 50 a Corleone? Non fu facile. Quand’ero ragazzino, gli amici mi consideravano un visionario. Io sapevo il perché di tanti morti, in famiglia se ne parlava. Loro invece non vedevano mai niente. All’epoca la parola mafia era bandita dai discorsi, la Chiesa e le istituzioni ne negavano persino l’esistenza. Questo nome ha segnato la vita? Nel bene. Ogni volta che facevo una scelta pensavo che dovevo farla per convinzione, non per interesse. Anche quest’anno mi hanno chiesto di candidarmi a Palermo, ma è un momento particolare per noi, ho preferito non farmi coinvolgere direttamente. In quegli anni vi sentivate soli? A Corleone mio zio aveva creato un grosso movimento contro la mafia. La gente sapeva. Ma era difficile: chi si ribellava moriva, nessuno ti proteggeva, i barbari assassini giravano per il paese. Come avete vissuto la conferma che i resti ritrovati erano di Placido Rizzotto? Nel 2008 furono fatti dei ritrovamenti in una buca di Rocca Busambra. Ma si scoprì che non avevano nessuna familiarità con il mio dna. Ero sconfortato. Un poliziotto di Corleone però mi disse che era convinto che la buca non fosse quella giusta, di cui si era persa memoria. Aveva letto il rapporto di Dalla Chiesa sui resti parziali trovati nel ’49 e poi scomparsi dagli uffici del tribunale. Ha indagato finché non ha trovato la buca giusta. Ora avete una tomba dove onorare Placido . Chiedevamo un posto dove Corleone potesse onorare il suo eroe. Invece nel cimitero c’erano i suoi uccisori. La famiglia Rizzotto ha sempre sostenuto che Luciano Liggio lo uccise e lo andò a buttare in una buca. Gli assassini sono morti. Cosa chiedete? Di ricostruire la verità storica. Mio zio e tutti i sindacalisti uccisi in quel periodo furono infangati. Si disse che erano rissosi, dediti al malaffare, alle donne, le famiglie furono umiliate. Ora si stabilisca che sono stati uccisi perché lottavano contro la mafia e per i lavoratori. Chi ha assolto e coperto Liggio è responsabile di quello che è successo dopo. Si desecretino i documenti. Dopo ricerche negli archivi dei servizi di mezzo mondo, possiamo dire la verità: lo sterminio dei sindacalisti fu una strategia dei fascisti superstiti, insieme alla Decima Mas, ai servizi e a quella parte della Dc che voleva fermare la svolta a sinistra della Sicilia. I parenti debbono essere riconosciuti familiari di vittime del terrorismo politico-mafioso. La legge lo prevede, ma solo dopo il ’61.

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