BRINDISI — Alle case rosa hanno bussato che era mattino presto. Le finestre del palazzo si affacciano sulla scuola, e sul chiosco con l’insegna «Il Panino dei Desideri, friggitoria e creperia», che venerdì è rimasto aperto fino all’una di notte e poche ore dopo è diventato nascondiglio per l’uomo che ha fatto esplodere la bomba. Dai piani alti a quelli bassi, seguendo una logica, una possibile visuale.
BRINDISI — Alle case rosa hanno bussato che era mattino presto. Le finestre del palazzo si affacciano sulla scuola, e sul chiosco con l’insegna «Il Panino dei Desideri, friggitoria e creperia», che venerdì è rimasto aperto fino all’una di notte e poche ore dopo è diventato nascondiglio per l’uomo che ha fatto esplodere la bomba. Dai piani alti a quelli bassi, seguendo una logica, una possibile visuale.
Gli agenti mostravano una stampata con un fermo-immagine, il meno peggio tra i fotogrammi registrati dalla videocamera nascosta sotto alla tenda del baracchino. «Conoscete quest’uomo? Lo avete mai visto qui intorno?». Funziona così, questa indagine. Una porta dopo l’altra, alla fine di questa domenica saranno oltre cinquecento. Alla ricerca di qualcosa che porti a una identità, che ricolleghi un gesto senza spiegazioni al suo autore. Sanno chi è stato, lo hanno visto nelle immagini. Non sanno il suo nome.
Il giorno dopo di Brindisi è una domenica in apparenza normale, dove le tracce della tragedia si trovano negli striscioni abbandonati in piazza della Vittoria dopo la manifestazione spontanea della sera precedente. Il palco ancora da smontare è diventato un castello per i giochi dei bambini. Nel centro pedonale i negozi sono chiusi per il festivo, i bar dell’aperitivo sono affollati come sempre. «La vita va avanti» dicono al Café de Paris, ai bordi del lungomare, e in fondo è anche giusto. La scuola «Francesca Morvillo Falcone» è lontana, laggiù in fondo ai quartieri popolari. Non è una vendetta contro la città, dicono tutti, si tratta di un pazzo e non di un complotto. Non c’è nessuna certezza in questa convinzione, se non una voglia inconfessabile di scartare le ipotesi peggiori basandosi sulla deduzione. Non certo sui riscontri oggettivi, quelli che mancano.
La città, il suo porto e i suoi alberghi, non solo la scuola, sono diventati il terreno di una inchiesta vecchio stile, che cerca dettagli a partire da un fotogramma sgranato. Il capo della Polizia Antonio Manganelli ha dato una linea precisa agli investigatori inviati a Brindisi. Il dibattito sulla matrice di un attentato che non ha neppure un precedente in Italia non gli interessa. «Io voglio il testimone che si ricorda il numero di una targa, la videocamera che inquadra una faccia sospetta. Dobbiamo concentrarci sui dettagli, come una volta. Solo così potremo prenderlo».
Partire dai fondamentali. Bussare alle porte di quei tre edifici a ferro di cavallo che guardano sulla scuola. Mettere a confronto quel fotogramma con un centinaio di altre facce e corpi di persone «note all’autorità giudiziaria» attualmente in libertà, dopo aver setacciato gli archivi della questura alla ricerca di foto segnaletiche che potrebbero, in teoria, somigliare a quella dell’attentatore. L’esame del Dna sui mozziconi di sigaretta ritrovati a terra.
La telecamera del chiosco è solo il punto d’arrivo. Vengono consultate anche quelle sparse per la tangenziale interna della città e sul lungomare, una settantina in tutto. Gli investigatori hanno fatto una copia dei nomi di tutte le persone a bordo delle navi passeggeri partite da Brindisi, di tutte le persone passate per le camere degli hotel nell’ultima settimana, sempre seguendo quella fisionomia sgranata in bianco e nero.
E tutto per tornare a questa scuola, a un assassino che deve odiarla, non come simbolo, ma per ragioni più concrete e prosaiche. «Una persona in guerra con il mondo, vittima e nemico di tutti che vuole dare sfogo alla sua rabbia», questa la definizione data dal procuratore Marco Dinapoli. Le sue parole sono state lette in controluce, ad esse è stata assegnata anche una funzione sociale, l’effetto placebo che dovrebbe rassicurare una città spaventata nell’intimo: meglio un «gesto isolato», che non implica la coazione a ripetere, di un’ombra costante sulle scuole che questa mattina devono riaprire per forza. È una corsa contro il tempo, di questo ne sono tutti consapevoli, una mostruosità del genere necessita di una risposta definitiva, possibilmente rapida.
Brindisi è un labirinto di indagine che riporta sempre alla casella di partenza. Ieri pomeriggio sono stati aperti schedari e cassetti per riesumare vecchi elenchi di insegnanti e personale didattico. Al preside Angelo Rampino sono state mostrate le immagini di quell’uomo, per chiedergli se gli ricordavano qualcuno passato per il suo ufficio, qualcuno che avesse motivi di rancore verso l’istituto. «Voleva colpire proprio quella scuola» dice Dinapoli, anche se poi allude alla ragione sociale, al cognome Falcone, lasciando spazio a ogni possibile interpretazione, compresa quella di un attentato politico e non personale. Un vecchio dipendente, un professore? Il magistrato allarga le braccia.
Così vicina e così lontana, la soluzione di questo enigma tragico. Una giornata fatta di tutto e niente, di speranza e ansia. L’apparente normalità di questa domenica che sembrava autunno è solo un attimo sospeso nell’attesa che accada qualcosa. Perché il gesto sarà singolo, isolato quanto si vuole, come dice il procuratore. Ma senza una ragione plausibile lo sgomento e la sensazione di paralisi non passano. E allora non resta che bussare a ogni porta, nella speranza di aprire quella giusta.
Marco Imarisio
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