Messaggio chiaro: nel pieno di una gravissima crisi sociale, l’Italia va riportata alla sua eccezionalità Pendolavano ogni mattina da Mesagne a Brindisi per andare a scuola Melissa Bassi e Veronica Capodieci, arrivavano qualche minuto prima dei compagni di Brindisi ed è per questa oncia di dedizione in più ai loro studi che hanno pagato di più.
Messaggio chiaro: nel pieno di una gravissima crisi sociale, l’Italia va riportata alla sua eccezionalità Pendolavano ogni mattina da Mesagne a Brindisi per andare a scuola Melissa Bassi e Veronica Capodieci, arrivavano qualche minuto prima dei compagni di Brindisi ed è per questa oncia di dedizione in più ai loro studi che hanno pagato di più. La violenza stragista è cieca, ma non fino al punto di non colpire i più inermi fra gli inermi e i più innocenti fra gli innocenti. Alla storia repubblicana mancava una strage di ragazzini, anzi di ragazzine, che contro la mafia sono le più attive; ora ce l’abbiamo. Aggiungi cinismo al cinismo, orrore all’orrore, messaggio al messaggio. Un nome simbolico, in una giornata simbolica e a ridosso di un anniversario simbolico, ha sintetizzato efficacemente qualcuno poco dopo l’esplosione. Un nome, anzi due, Falcone e Morvillo, sulla facciata della scuola prescelta, nel luogo e nel giorno della tappa brindisina della marcia antimafia, a quattro giorni del ventennale della strage di Capaci che già riempiva gli speciali in tv, come ogni anno uguali all’anno precedente. Ma ecco invece che quest’anno, nell’ossessiva ripetizione che mette in scena, l’anniversario sarà diverso. La differenza la fanno le ragazze, «l’obiettivo». Non eravamo forse alle prese con una insostenibile condizione giovanile, studenti precari disoccupati senza futuro? Non arrivava ogni mattina il sermone del politico o del presidente di turno, a predicare tagli e rigore in nome del futuro dei giovani? Eccolo qua, il futuro dei giovani. Quelle «strane» bombe a gas che sorprendono gli inquirenti mandano a dire intanto questo, che il futuro ha da restare nelle stesse mani di chi le ha tenute sul passato. E’ l’Italia, bellezza, un posto in cui in qualsiasi stagione di turbolenza e transizione, quale che ne sia il segno, il passato che non passa agguanta il presente e pregiudica il futuro. Accadde venti anni fa quando la strage di Capaci – e poi via d’Amelio e poi le bombe, anche quelle «strane», del ’93 a Firenze, Milano e Roma – impressero alla transizione dalla prima alla seconda repubblica una curvatura di cui ancora, malgrado le molte verità assodate, siamo lungi dall’aver chiarito tutte le implicazioni politiche. Accade di nuovo oggi, e accade con una citazione talmente esplicita di quella stagione che è bene guardarsi dal prenderla alla lettera, e diffidare della firma. Il messaggio è chiaro: nel pieno di una crisi sociale drammatica e di una ennesima transizione quantomai incerta, l’Italia va riportata alla sua eccezionalità. Nessuna chance a ciò che resta della democrazia e delle sue pretese redistributive, dei redditi e dei poteri: occorre fare il caos, perché regnino o i poteri stragisti che non perdonano, o l’ordine pubblico che non ammette deroghe, con annessa protesi dell’unità nazionale. I soliti noti, da una parte e dall’altra. Ma che a firmare il messaggio sia una cosa che si chiama mafia, citazione tanto perfetta quanto sospetta di quella di vent’anni fa, è tutto da dimostrare. Di certo quella firma non viene da dove l’allarme per la «coesione sociale» delle ultime settimane si era concentrato: gambizzatori, «terroristi» anti-tav, testimoni degli anni ’70, imprenditori suicidi, disoccupati disperati e precari incazzati. Come al solito nell’eccezione italiana, questi sono i ragazzini, si mandano avanti per alzare l’allarme. Poi arrivano i duri, fanno le stragi e consentono ad altri di fare ordine, in nome dello Stato.
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