Genova, trenta anarchici nel mirino tabulati e telecamere per inchiodarli

Indagati per altre azioni della Fai. “Tra di loro ci sono basisti e autori dell’attentato di Marassi” 

Indagati per altre azioni della Fai. “Tra di loro ci sono basisti e autori dell’attentato di Marassi” 

GENOVA – Ci sono trenta nomi nei taccuini degli investigatori. Definirli “sospetti” è riduttivo, perché alcuni di loro sono già indagati per altri attentati. Sono quasi tutti giovani, sotto i trent´anni, alcuni studenti universitari, altri operai. Gravitano tra Liguria, Toscana e Lombardia. Qualcuno è stato protagonista delle prime esplosioni rivendicate dal Fronte Anarchico Informale, altri si sono aggiunti negli ultimi dieci anni di fuoco. Entrando in contatto con vecchi reduci della lotta armata, mai pentiti. Finendo in quel cono d´ombra in cui – parole del capo della polizia, Antonio Manganelli – «l´anarco-insurrezionalismo sfuma nelle derive marxiste-leniniste». Tra di loro, gli autori dell´agguato a Roberto Adinolfi di lunedì scorso. O almeno i loro complici, i “basisti” genovesi. Perché gli inquirenti lo sanno bene: il cerchio di fiamme s´innesca e si chiude nel capoluogo ligure, dove i carabinieri del Ros hanno consegnato un rapporto che qualche mese fa ha permesso di aprire un delicato e riservatissimo fascicolo. Con trenta indagati, appunto. Che come globuli rossi percorrono rapidamente strade diverse, a volte incrociano il cammino, e poi si ritrovano tutti a Genova. Dove pulsa il cuore di questa nuova storia di terrorismo. Dove dal 2002 ci sono stati tre attentati esplosivi ma in particolare alcune riunioni – una su tutte, la più importante, nel dicembre 2006 a Bolzaneto, quartiere sinistramente legato al G8 – giudicate “decisive” nella svolta eversiva del Fai.
Trenta nomi e alcuni telefonini. Sono questi gli elementi più importanti nelle mani degli investigatori. Che hanno monitorato le “celle” del paesino di Sant´Olcese, la notte dell´11 febbraio, quando fu rubato lo scooter nero usato per l´agguato a Roberto Adinolfi. I numeri sono stati messi a confronto con quelli recuperati dopo lo sparo di via Montello. E con altri, già in possesso di chi indaga. Il motorino è rimasto nascosto per tre mesi, presumibilmente in un garage genovese, ed è stato attrezzato in modo da essere acceso con una chiave, non solo collegando i fili. Per evitare contrattempi, e permettere agli sparatori una fuga facile attraverso le strade del centro fino alla stazione ferroviaria di Brignole, dove gli attentatori avrebbero direttamente imbucato la lettera di rivendicazione prima di salire su di un treno. Ci sono quattro uomini che da lunedì pomeriggio rivedono ogni fotogramma dei video girati dalle telecamere di Brignole e dintorni. Alla ricerca di due volti che potrebbero corrispondere a due nomi di una lista di trenta.

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