Femminicidio/TAVOLO DI CONFRONTO DELLE ASSOCIAZIONI «Non solo appelli, ma azioni concrete»
Femminicidio/TAVOLO DI CONFRONTO DELLE ASSOCIAZIONI «Non solo appelli, ma azioni concrete»
Non se n’è mai parlato tanto come adesso e anche se le italiane uccise da familiari non sono una novità, ormai si tiene il conto: una sessantina di donne uccise in 4 mesi e mezzo per mano di mariti e fidanzati, pesano anche qui dove il delitto d’onore è stato abrogato nel 1981. E l’appello «Mai più complici» (Lipperini-Zanardi-Snoq) ha raggiunto più di 30mila firme. Ieri a Roma si sono anche incontrate, alla Casa internazionale delle donne, un gruppo di organizzazioni che con la violenza ci lavorano e che da tempo usano – senza problemi di eleganza fonetica – i termini femmicidio e femminicidio. Francesca Koch (Casa Internazionale), Vittoria Tola (Udi) Valeria Fedeli (SNOQ), Titti Carrano (D.i.Re), Simona Lanzoni (Pangea Piattafroma Cedaw), Monica Pepe (Zeroviolenza donne), Celeste Costantino (Donne Da Sud), Paola Lattes (Telefono Rosa), Maria Grazia Passuello (Solidea), Oria Gargano (BeeFree), Maria Pia Pizzolante (Tilt) e Chiara Scipioni (Differenza Donna), hanno dato il via a un tavolo aperto a chi lavora sulla violenza, mettendo a disposizione esperienza e dati, per costruire una «Convenzione che contrasti la violenza maschile» e un «Patto per azioni comuni».
«Si rischia la spettacolarizzazione del fenomeno – dice Simona Lanzoni – senza una chiara richiesta poltica. E proporre una sorta di Stati generali sulla violenza, in cui siano indicate tappe che coinvolgano anche uomini, mi sembra un buon avvio per costringere le istituzioni a intervenire concretamente». Perché il problema è proprio questo: a cosa serve che la ministra degli interni Cancellieri o la presidente della regione Lazio Polverini firmino l’appello contro la violenza, se poi a questo non si aggiunge un’azione concreta proprio da loro, che hanno il potere di farlo? Tra due anni l’Italia dovrà rendere conto all’Onu di come ha applicato le raccomandazioni ricevute dopo la presentazione del «Rapporto Ombra» della Piattaforma Cedaw, mentre a giugno Rachida Manjoo, relatrice speciale dell’Onu contro la violenza, renderà noto al Palazzo di vetro il rapporto che ha messo insieme sull’Italia. Cosa ne verrà fuori? Ma soprattutto: che figura ci fa l’Italia che si preoccupa delle donne morte se poi non ha ancora ratificato (né firmato) la «Convenzione Europea per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne» di Istanbul?
L’Udi ha interpellato più volte la ministra del lavoro con delega alle Pari opportunità, Elsa Fornero, per l’avvio di un tavolo di lavoro, e sono andate anche dal presidente Napolitano, chiedendo di fare pressione affinché il governo di Monti intervenga sui femmicidi: «Non servono molti soldi – dice Vittoria Tola – basterebbe spartire tra le regioni un budget minimo per finanziare strutture che già ci sono. Ma serve la volontà di farlo». Alcuni interventi potrebbero essere varati subito dal governo: «Il problema non è di sicurezza – spiega Titti Carrano – perché gli strumenti ci sono, vanno rivisti e applicati. Il Piano nazionale varato l’anno scorso contro la violenza è rimasto vago su cose che andrebbero corrette subito: non c’è un osservatorio nazionale su violenza e femmicidi, non ci sono dati, scarsa è la preparazione di operatori e forze dell’ordine, nulla è l’indicazione sui finanziamenti degli enti locali ai centri antiviolenza, e i soldi per il piano nazionale sono in parte bloccati. E ci sono provvedimenti che si potrebbero prendere subito a costo zero, come l’esclusione della prescrizione per i reati contro le donne. Perché le istituzioni non lo fanno?».
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