Combattere per il piacere di annientare un nemico: lo spettro del nulla da Troia all’antisemitismo d’oggi. Le otto del mattino, stanno arrivando alla scuola ebraica di Tolosa i bambini. È domenica, la città sonnecchia ancora, la scuola ebraica lavora. Il momento è scelto bene.
Combattere per il piacere di annientare un nemico: lo spettro del nulla da Troia all’antisemitismo d’oggi. Le otto del mattino, stanno arrivando alla scuola ebraica di Tolosa i bambini. È domenica, la città sonnecchia ancora, la scuola ebraica lavora. Il momento è scelto bene.
Un giovane in moto passa di là, estrae una pistola, spara nel piccolo mucchio vivente, spegne uno, due, tre bambini e un loro insegnante e si dilegua. Viene quasi subito individuato e assediato in casa per prenderlo vivo, ma l’assassino non parlerà: non si arrende e viene abbattuto. È un algerino di nome Mohammed Merah. Come stragista qaedista ha già assassinato tre parà francesi. Non ha che ventiquattro anni. Il fatto è questo.
Ma io non voglio deplorarlo (è scontato!), ma aiutarmi a capirlo. La chiave per decifrarlo non è la solita canzone del persistente antisemitismo, fenomeno che se persiste o ritorna (ma se ritorna non persiste), per forza non è il medesimo che produsse la Shoah: una ideologia razzistica che dominava un certo numero di imbecilli in tutta Europa, e neppure ciascuno di loro. Capitale la frase di Goebbels: «Decido io chi è ebreo». Irresistibile ti viene in mente il poema di Seferis: Elena. Riprende da Euripide la straordinaria leggenda che a scatenare la guerra e lo sterminio di Troia non fu Elena, ma un’ombra, un fantasma: «Quante vite l’abisso ha ingoiato, per una spoglia vuota, per un’Elena».
L’antisemitismo ideologico, che tanto male ci ha fatto (non solo a ebrei ma a tutti), fu questo simulacro, questa «spoglia vuota», un’Elena butterata, un’ombra? C’entra qualcosa con la strage di Tolosa? No. Poco mancò, dopo le sue corrispondenze da Gerusalemme sul processo Eichmann, che fosse gridata antisemita Hannah Arendt, colpevole di aver pensato fuori dal coro, genialmente, il famoso processo. Pianificando da bravo funzionario lo sterminio, Eichmann non era agitato da nessun fantasma. Da che cosa allora? Hannah, nel settembre 1963, scriveva da New York in Italia, all’amica Mary Mac Carthy — ospite a Bocca di Magra di Miriam e Nicola Chiaromonte: «… l’antisemitismo perde il suo contenuto nella politica di sterminio, perché lo sterminio non sarebbe cessato, non ci fosse rimasto che un solo ebreo da uccidere. In altri termini: lo sterminio per sé è più importante dell’antisemitismo o del razzismo». Il fantasma di Elena si sposta di visione in visione: dalle rovine di Troia alle birrerie di Monaco, a Teheran, a Tolosa… Da notare: tra i prigionieri di Spandau, tutti ex grossi collaboratori di Hitler, nessuno era antisemita; soltanto Hess lo era stato, ma dal 1941 era fuori da tutto, aveva altre allucinazioni.
Se tiriamo alle estreme, perfettamente logiche, conseguenze l’ultima frase della lettera di Hannah, vedremo venir su qualcosa di ancora più terrificante ed eretico: la volontà di compiere il male (il male per il male) non si arresta all’ultimo ebreo da uccidere nel mondo, ma prosegue nella sua corsa, colpendo per consuetudine d’idiozia là dove sono ebrei inermi come israeliani armati, senza dimenticare l’americano delle Torri Gemelle, la moschea sunnita o la sciita, esseri umani in vacanza in Norvegia o cittadini londinesi qualunque in metropolitana. Ero a Parigi quando fu colpito un ristorante casher del vecchio ghetto, in rue des Rosiers, e davanti a quel sangue sparso d’innocenti mi domandavo unde malum et non erat exitus. Il guscio vuoto dell’antisemitismo-antisionismo era pronto per essere imputato e condannato, ma la Arendt ha intravisto dell’altro e dell’oltre, rovistando nella sua propria teoria della banalità del male. Si coltiva la mala radice perché il pretesto dell’ebreo da uccidere, semplicemente, tragicamente, duri. E qui, forse, teniamo la verità nascosta della strage di Tolosa. «Per una spoglia vuota…», traduce Pontani nell’edizione Mondadori, l’unica in Italia; ma la parola neogreca letteralmente significa lunga camicia, svolazzante senza corpo. Mi pare che così si renda meglio la vacuità assoluta dell’antisemitismo ideologico-razziale, che non è più evocabile oggi come movente, neppure per i terroristi suicidi dell’Intifada. Una camicia, uno straccio insanguinato.
Nel linguaggio psicanalitico abbiamo Todestrieb, pulsione di morte.
L’omicida di Tolosa aveva già ucciso — e non erano ebrei ma militari francesi — e avrebbe seguitato ad uccidere, dietro istruzioni specifiche su bersagli umani, vaganti da un guscio vuoto all’altro. Non ha potuto parlare: può darsi gli avessero inculcata la bramosia di assassinare ebrei: ma lo vedrei come un serial killer dei più abominevoli, che gode di tirare su bambini (con kippah o senza) come fossero pipe da tirassegno. I bambini, le scuole… Ripenso al sequestro, nel settembre 2004, in Ossezia del Nord, il primo giorno di scuola a Beslan: i bambini morti — oggi altrettante foto incorniciate sparse nelle case — furono centottantasei. Possiamo piangerli insieme ai germogli teneri recisi a Tolosa dal bruto. Nessun movente antisemita a Beslan: ma il Todestrieb è in entrambi i luoghi presente.
Se, mentre si processava Eichmann più di mezzo secolo fa, lo sterminio-per-lo-sterminio era già più importante, come sostiene la Arendt, del camicione vuoto antisemita, medievalmente razzista, che cosa pensarne oggi? Tutta l’appestata pleiade del terrorismo mondiale, da punti diversi, apoliticamente e areligiosamente, converge verso il fine ultimo della sua pulsione omicida: la strage per la strage, la distruzione per la distruzione. Un Merah non ha ideologia, simula di averne una; ubbidisce a ordini emessi, prima che da una centrale del terrore, dal nulla.
La società che vuole e deve difendersi sbaglierebbe inseguendo il fantasma svolazzante di Elena. La sua primaria necessità è di capire il terribile vuoto di movente di Mohammed Merah.
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