Quei sentieri incrociati con Montale

Da Trieste a Firenze sotto le bombe, il rapporto con Saba, le frequentazioni milanesi: ricordi di una lunga amicizia C onservavo ancora da qualche parte un disegnino di Montale tracciato sopra un foglio del suo taccuino, e mi accorgo ora di non averlo «tesaurizzato» come feci a suo tempo col primo esemplare degli Ossi di seppia, acquistato negli anni Trenta, di quella che era la prima edizione del 1925 presso l’editore Gobetti.

Da Trieste a Firenze sotto le bombe, il rapporto con Saba, le frequentazioni milanesi: ricordi di una lunga amicizia C onservavo ancora da qualche parte un disegnino di Montale tracciato sopra un foglio del suo taccuino, e mi accorgo ora di non averlo «tesaurizzato» come feci a suo tempo col primo esemplare degli Ossi di seppia, acquistato negli anni Trenta, di quella che era la prima edizione del 1925 presso l’editore Gobetti. La ragione di questa mia disattenzione è semplice: la benevolenza nei miei riguardi di Eusebio (così lo chiamavamo utilizzando il dotto nomignolo con cui lo aveva ribattezzato Bobi Bazlen), dovuta a una conoscenza che risultava dalla mia frequentazione della villa Veneziani. Questa era l’antica abitazione triestina (e insieme fabbrica della vernice) nella quale viveva a quel tempo Italo Svevo e dove ogni domenica si riuniva tutta la famiglia, soprattutto i giovani che passavano il pomeriggio tra la merenda e le danze. Ma oltre ai divertimenti famigliari, esisteva nella villa anche lo studio di Italo Svevo, il quale spesso riceveva alcuni letterati suoi amici come il poeta Umberto Saba, il professor Stuparich e molti intellettuali venuti da altre parti d’Italia come Giacomino Debenedetti, Leo Ferrero e tra gli altri, appunto, Eugenio Montale. Era stato in quest’ambiente, quindi, che per la prima volta avevo incontrato il grande poeta che aveva già stabilito una cordiale amicizia col padrone di casa, e fu proprio Bobi Bazlen (il noto talent scout) che mi aveva dato l’opportunità di questo incontro più «ravvicinato»; è interessante notare anche che fu proprio per merito di Montale se le vecchie copie dei primi due romanzi di Svevo furono spedite da Bobi (e da me) al critico francese Benjamin Crémieux, che fu il primo a favorire la celebrazione internazionale del grande romanziere triestino.
Oggi, quando molte delle poesie hanno perduto la cripticità e il pathos di quelle dei maggiori poeti del Novecento (e penso ovviamente a Eliot, Pound, Rilke eccetera) rimane il rimpianto che la gioventù di allora non abbia forse accolto appieno il loro messaggio che adesso, rispetto alle cincischiature romantiche e alle acrobazie simbolistiche di tante opere più recenti, appare ancora più evidente. L’aver incontrato e frequentato Eusebio nell’ambito cittadino, nel cuore di Milano o di Firenze, ha fatto sì che non mi renda conto fino a che punto i suoi versi — certe poesie come Notizie dall’Amiata o Verso Vienna — testimonino effettivamente l’indizio di una sua sensibilità acuta per la natura, oppure per le spesso tenebrose e aggrovigliate espressioni del suo pensiero, che si rivela sottile e spesso angoscioso.
Non vorrei che si credesse che soltanto le città come Trieste e Genova fossero lo sfondo dei nostri incontri, perché, anzi, molte altre località costituiscono le diverse tappe di questi «sentieri incrociati», probabilmente soltanto per caso o per volontà del destino. Così ad esempio non voglio dimenticare i numerosi incontri estivi in Versilia, dove oltretutto Montale e la Mosca alloggiavano in un albergo di Forte dei Marmi, e dove ogni giorno accorrevano dalle spiagge vicine, come il Poveromo o i Ronchi, i numerosi letterati e artisti che abitavano in quella zona o avevano delle ville nei paraggi, come ad esempio il musicista Riccardo Malipiero o il cineasta Mastrocinque. Anche Savinio aveva una villa in prossimità del Forte e mi accadde spesso di recarmi proprio insieme a lui in bicicletta a trovare Montale. Ma, a proposito degli incontri toscani, non voglio dimenticare quello senz’altro più importante e di cui si è anche molto parlato nelle biografie montaliane, e cioè il Gabinetto Vieusseux di Firenze, di cui per altro Montale per un certo periodo fu direttore, lasciando poi il posto ad Alessandro Bonsanti. Proprio al Vieusseux mi recavo molto spesso, durante il periodo abbastanza fascinoso e tenebroso che anticipava lo scoppio della guerra, ben presto poi iniziata. Mi trovavo allora nella nostra casa di campagna nel volterrano, e molto spesso con decrepite corriere della linea denominata «Sita» mi accadeva di arrivare fino a Firenze, incurante delle bombe che spesso venivano sganciate sulla regione. A Firenze, poi, la situazione era del tutto particolare: da un lato la fosca atmosfera dell’agonia fascista e delle forze armate che si cominciava ad avvertire; dall’altro una situazione quasi di incontri mondani, perché a Firenze erano riparati moltissimi intellettuali del Nord, di modo che al Vieusseux (e in altri centri culturali come le Giubbe Rosse, per esempio) si potevano incontrare personaggi come Giacomino Debenedetti con la moglie, Arturo Loria, Longhi, Alberti e altri. E proprio a Firenze venne a rifugiarsi Umberto Saba con la sua famiglia. Abitavano presso una giovane «patriota» che li aveva accolti tutti molto amorevolmente: la cosa più curiosa è che nell’appartamento della Ichino, a due passi dal Museo Pitti e dai giardini di Pitti, oltre alla famiglia Saba venne ad alloggiare anche quello che poi doveva diventare l’amico di Linuccia Saba, e cioè Carlo Levi, che a quel tempo era ancora confinato nel Sud Italia, vicino a Potenza, e che stava proprio allora tracciando le prime pagine del suo famoso libro Cristo si è fermato a Eboli. Montale, oltre a essere amico di Saba e delle altre persone dell’ambiente, aveva molta simpatia per le donne della famiglia Saba: la carissima e straordinaria Lina, la moglie paziente e devota del grande e malinconico poeta, e la figlia Linuccia, che era stata mia amica nel periodo della mia adolescenza.
Questo omaggio a Linuccia ha alcuni addentellati con le visite triestine del poeta: non si dimentichi che la simpatia di Montale per la famiglia Saba (soprattutto per le donne e credo molto meno per il capriccioso poeta) riguarda il novero di quelle figure femminili di cui si è tanto discusso e che comprende, come ormai è ben noto, Esterina, Liuba, Gerti, Dora, Clizia, Edith… Nel caso di Linuccia vorrei perlomeno ricordare alcuni versi di una poesia «dispersa»: «Buona Linuccia che ascendi / la via nella vita, esitante, / e temi il tempo che incrina, / l’acqua che varca i ponti e va distante».
E sempre a proposito di Linuccia credo che possiamo ricordare che proprio in quel periodo le fu molto vicino anche Bobi Bazlen, pure lui venuto a rifugiarsi a Firenze. Ecco, a prescindere dagli elementi di pettegolezzo letterario, mi sembra che la confluenza di personaggi come Saba, Bazlen e lo stesso Debenedetti (che era pure lui apparso nella città di Firenze) attorno alla figura molto amata e apprezzata di Montale costituisca una pagina preziosa dell’Italia e della cultura italiana di quel periodo pre, e immediatamente post-bellico, quando il Paese cominciò ad affrancarsi dal disgraziato ventennio.

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