“Fu lo Stato ad avviare la trattativa con la mafia”

Per la prima volta un tribunale sancisce l’esistenza del patto. “Ma Forza Italia con le stragi non c’entra”. I giudici della corte d’assise di Firenze. “Contatti subito impostati sui binari del do ut des”

Per la prima volta un tribunale sancisce l’esistenza del patto. “Ma Forza Italia con le stragi non c’entra”. I giudici della corte d’assise di Firenze. “Contatti subito impostati sui binari del do ut des”

FIRENZE – «Una trattativa indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des. L´iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia». Lo affermano i giudici della corte di assise di Firenze che il 5 ottobre scorso hanno condannato all´ergastolo il boss palermitano Francesco Tagliavia per le stragi che nel corso del 1993 insanguinarono Roma, Firenze e Milano, e per le quali sono già stati condannati in via definitiva 15 boss mafiosi fra cui Totò Riina, Bernardo Provenzano e Giuseppe Graviano. Cento delle 547 pagine di motivazioni della sentenza, appena depositate, sono dedicate alla analisi del movente di quella stagione di devastazioni – piegare lo Stato – e alla trattativa fra Cosa Nostra e istituzioni, che fu avviata dal colonnello Mario Mori all´indomani della strage di Capaci del 23 maggio 1992 e si intrecciò con quel sanguinoso ricatto. L´obiettivo che le istituzioni si prefiggevano, quantomeno all´avvio dei contatti, fu – a giudizio della corte di assise di Firenze – quello «di trovare un terreno di intesa con Cosa Nostra per far cessare la sequenza delle stragi. È verosimile che tutti gli apparati, ufficiali e segreti, dello Stato temessero sommamente altri devastanti attentati dopo quello di Capaci, nella consapevolezza che in quel momento non si sarebbe saputo come prevenirli e questo anche perché, nonostante gli sforzi encomiabili di tutte le forze di polizia, si brancolava abbastanza nel buio, soprattutto sul piano dell´intelligence».
Secondo i magistrati fiorentini, l´uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta, il 19 luglio 1992, fu «una variante anomala». La trattativa, che Borsellino avrebbe avversato in ogni modo «perché rappresentava la negazione stessa della battaglia condotta da sempre con Falcone», per alcuni mesi si arenò. Ma poi riprese e non si arrestò neppure quando, dopo l´arresto di Riina il 15 gennaio ´93, la mafia sferrò l´attacco indiscriminato contro chiese e monumenti, fra cui la Galleria degli Uffizi. Un´idea suggerita a Cosa Nostra da elementi esterni, probabilmente da Paolo Bellini, oscuro personaggio vicino al terrorismo nero e ai servizi. Fu proprio in quel clima di terrore scatenato dagli attentati di Roma, Firenze e Milano, in cui persero la vita dieci persone fra cui due bambine, che il professor Giovanni Conso, ministro della giustizia nel Governo Ciampi, revocò centinaia di decreti di carcere duro (41 bis). Le revoche non riguardarono nessun boss di prima grandezza, ma in quel contesto – sottolineano i giudici – «esse potevano apparire come un sintomo di cedimento alla mafia». La corte, che durante il processo ha sentito gli ex ministri Conso e Nicola Mancino, conclude che «dalla disamina delle dichiarazioni di soggetti di così spiccato profilo istituzionale esce un quadro disarmante che proietta ampie zone d´ombra sull´azione dello Stato nella vicenda delle stragi».
Uno dei misteri di quella stagione è anche il motivo per cui, all´inizio del ´94, le stragi si fermarono. I giudici si sono chiesti se ciò sia avvenuto in relazione alla vittoria di Forza Italia. Ma, riguardo ai «nuovi referenti» indicati da Spatuzza e da altri collaboratori, e cioè Silvio Berlusconi e Marcello Dell´Utri, la corte sottolinea che al momento le «gravi affermazioni» dei pentiti non hanno ricevuto una verifica giudiziaria, «neanche interlocutoria». E ancor più nettamente rileva che, stando alle risultanze del processo fiorentino, «non ha trovato consistenza l´ipotesi secondo cui la nuova “entità politica” che stava per nascere si sarebbe addirittura posta come mandante o ispiratrice delle stragi». Il che non esclude – aggiungono i giudici – «che una svolta nella direzione politica del paese fosse stata vista dalla mafia come una chance per affrancarsi dalla precedente classe dirigente in declino».

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