L’assalto, le violenze e la ferita del G8 «Il film sulla Diaz in risposta ai silenzi»

Il produttore Procacci: siamo fermi al «sorry» che pronunciò il vicequestore

 

Il produttore Procacci: siamo fermi al «sorry» che pronunciò il vicequestore

 


Diaz, il film sul G8 di Genova, comincia con i black bloc. L’auto ribaltata, fracassata, incendiata. La fuga di un gruppo di ragazzi, tra cui un francese di colore. «È un personaggio reale — racconta il produttore, Domenico Procacci —. Abbiamo parlato con lui, ci ha spiegato molte cose su quelle giornate. Così come abbiamo parlato con i ragazzi della Diaz. E con alcuni tra gli agenti che fecero irruzione nella scuola. No, i nomi non li posso fare».
Il primo reparto di celerini che avanza verso la Diaz trova sulla sua strada un giornalista inglese. Viene colpito con violenza. Poi arriva il reparto successivo, e ogni agente si sfoga sul corpo riverso a terra. «Anche il giornalista è un personaggio reale, Mark Covell. Ha già visto il film. Ha pianto. Ma non abbiamo calcato la mano, anzi. Perché Covell subì, inerme, un terzo pestaggio, che nel film non c’è. Non ci sono neppure le scene più cruente di Bolzaneto, come i piercing strappati e le altre offese al corpo dei ragazzi fermati».
L’esito è comunque molto duro, destinato a suscitare discussioni, forse anche polemiche, quando il film — presentato al festival di Berlino, dove ha vinto il premio del pubblico — uscirà nelle sale, il prossimo 13 aprile. Anche se la notte della Diaz è raccontata da diversi punti di vista, sia da quello dei no global, sia da quello dei poliziotti. A cominciare da Michelangelo Fournier, il vicequestore che trovò il coraggio di raccontare, sino a parlare di «macelleria messicana».
Dice Procacci che «fin dall’inizio abbiamo cercato il dialogo con la polizia. E questo ci è costato l’attacco del comitato “Verità e giustizia per Genova”. Quando hanno saputo che avevamo mandato il copione al capo della polizia Manganelli, hanno chiesto di poterlo vedere anche loro. Ho risposto di no, perché a quel punto avremmo dovuto sottoporre il lavoro a molte altre persone, che avrebbero finito inevitabilmente per condizionarci. Così ci hanno accusato di voler fare un film dalla parte della polizia. Ovviamente, non era così. Speravamo però di avere da parte della polizia una reazione. Invece nulla.
«Sulla mia scrivania tengo la lettera che il dottor Manganelli scrisse a Repubblica il 16 novembre 2008: “Credo che il Paese abbia bisogno di spiegazioni su quel che realmente accadde a Genova. L’istituzione, attraverso di me, si muove e si muoverà a tal fine senza alcuna riserva, non attraverso proclami via stampa, ma nelle sedi istituzionali e costituzionali”. Purtroppo questo non è accaduto. La polizia ha lasciato che i reati andassero in prescrizione, senza dire una parola su quel che è accaduto davvero a Genova. In un’altra lettera, stavolta indirizzata a Beppe Grillo, il dottor Manganelli scrive: “Vi sono certamente responsabilità riconducibili ad appartenenti alla polizia”. Però non è stato fatto nulla per chiarirle e riconoscerle, queste responsabilità. A oggi, l’unica parola di scuse resta il sorry che Fournier sussurra alla ragazza che soccorre Melanie Jonash a terra con la testa fracassata, un’immagine terribile che lo induce a fermare il massacro. E quel “sorry” nel film c’è, lo si ascolta, lo si vede. Anche se Diaz non arriva sino ai processi, è basato sulle risultanze processuali. Con il regista, Daniele Vicari, non abbiamo fatto un’opera a tesi, condizionata dai pregiudizi».
È vero che avrebbe voluto fare anche un film su Carlo Giuliani? «Abbiamo sviluppato un copione teso a raccontare come i suoi genitori (che avrei voluto vedere interpretati da Toni Servillo e Margherita Buy) abbiano lottato per anni nel tentativo, vano, di avere un processo per la morte di Carlo. Ma alla Rai non è piaciuto e quel progetto si è fermato lì».
«Non è un film contro la polizia, ma contro l’operato violento e criminale della polizia in quelle e, purtroppo, in altre circostanze. Proprio per lavorare in modo che episodi come la Diaz non si ripetano. Vorrei che il ministro Cancellieri vedesse questo film. Si possono fare delle cose concrete, a partire dall’adottare dei codici identificativi che permettano di riconoscere i poliziotti. C’è una frattura tra le forze dell’ordine e una parte del Paese e i fatti di Genova sono una delle cause di questa frattura. Bisogna lavorare per ricomporla, e non lo si fa col silenzio o la rimozione».
Fournier è impersonato da Claudio Santamaria, «che ha lavorato moltissimo per calarsi nella parte, anche fisicamente, è andato in palestra per irrobustirsi». Elio Germano invece è Lorenzo Guadagnucci, il giornalista del Resto del Carlino che prende un giorno di vacanza per andare al G8 e resta coinvolto nel pestaggio. Il film è girato quasi per intero in Romania, tranne qualche scena che non si poteva non fare a Genova. «Abbiamo avuto modo di verificare che la ferita in città è ancora aperta, la nostra presenza avrebbe creato tensioni che abbiamo preferito evitare — dice Procacci —. E poi uno dei due soci che hanno affiancato la Fandango è romeno. L’altro è francese. Rai e Mediaset o La7 finora non si sono fatte avanti, ma spero ancora di vendere i diritti televisivi. Abbiamo investito tanto, il film è costato più di 7 milioni di euro: di sicuro non ci guadagneremo. Ma sentivo di doverlo fare».

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