Aldo Capitini. «La realtaÌ€ eÌ€ cosiÌ€ ma io non accetto»

Religione aperta. La ristampa dell’opera del “Gandhi italiano”, in cui espresse la radicalitaÌ€ di una posizione nonviolenta, improntata all’amore di tutte le creature e di disinteresse per il potere

 

Religione aperta. La ristampa dell’opera del “Gandhi italiano”, in cui espresse la radicalitaÌ€ di una posizione nonviolenta, improntata all’amore di tutte le creature e di disinteresse per il potere

 


La ristampa, a piu? di cinquant’anni dalla prima edizione, di Religione aperta (Laterza, 248 pagine, 20,00 euro, introduzione e cura di Mario Martini, prefazione di Goffredo Fofi) di Aldo Capitini (18991968) antifascista, pedagogo, filosofo, teorico della “nonviolenza”, religioso laico e? occasione necessaria e preziosa per ritornare a discutere un pensiero dirompente e “rivoluzionario” senza piu? l’ausilio dei troppi “nipotini” che lo hanno se-
questrato e tirato per la giacchetta in questi ultimi decenni (ci riferiamo, tanto per essere espliciti, ai troppi piccoli guru partitici e movimentisti della “Marcia della Pace”, che Capitini fondo? con tutt’altro spirito nel 1961). Perche? la sensazione che si ha e? che su Capitini ci sia ancora un fraintendimento, e questo fraintendimento e? di natura politica.
Il suo messaggio di amore totale, di non collaborazione con il male, di religiosita? “dal basso”, di democrazia diffusa (si pensi ai suoi centri di orientamento sociale e religioso), di amore per gli animali e per tutte le creature e, soprattutto, la comunione dei vivi e dei morti e l’assoluto disinteresse per il potere, non hanno niente in comune con chi agisce, sia pure ammantandosi di buoni sentimenti e di belle parole, in nome del potere, del benessere personale e, soprattutto, in nome di un partito o di una causa ideologica (l’antiamericanismo, per esempio).
Capitini, che proveniva da una modesta famiglia, materialmente nulla aveva e nulla mai ebbe, se non una cattedra universitaria, che pure gli fu data dopo infinite diffidenze e umiliazioni (durante il fascismo perdette “il posto” di segretario della Scuola Normale di Pisa), e mai volle, nonostante fosse uno dei padri del pensiero liberalsocialista, entrare in un partito (nel Partito d’azione, per esempio), ne? volle mai imbrigliare il suo libero pensiero in una istituzione “chiusa”, cioe? in una struttura di potere.
Per questa ragione e? necessario dissequestrare Capitini da chi ne ha fatto un santino politicamente corretto di quella sinistra borghese-salottiera che ignora, tra le tante cose, il fondamento del suo pensiero religioso, che e? anzitutto amare l’avversario e chi vive nel male, non collaborare in nessuna circostanza con esso, amare costantemente tutte le creature. Il fondamento di troppi suoi “nipotini”, invece, e? l’odio politico sistematico, nonche? la sete, sia pure dissimulata, di potere. Troppi cioe?, detto altrimenti, si ritengono immediatamente degni (e noi non siamo tra questi, purtroppo) del pensiero e dell’insegnamento di Capitini, pur ignorando la profonda differenza che corre tra pacifismo e nonviolenza, essendo il primo un valore politico generico (verbale, diciamo cosi?), e il secondo un valore esistenziale e spirituale d’inaudita radicalita? (lo si esplica nella vita quotidiana, in ogni momento). E? capitato troppo spesso, purtroppo, che il “Gandhi italiano” (cosi? veniva chiamato Capitini, che tra l’altro scrisse una bella prefazione all’autobiografia del Mahatma), finisse in bocca a ricche signore felici di farsi una lunga passeggiata in Umbria, e a gruppetti e leaderini divorati dall’odio per gli avversari politici.
Detto questo, leggere o rileggere Religione aperta significa, ogni volta, mettersi in profonda discussione, ampliare gli orizzonti delle possibilita? di migliorarsi (leggendo Capitini, anzitutto ci si sente inadeguati e mancanti, in difetto, egoisti), riflettere e valutare in una prospettiva terrena e fraterna (etica ancor prima che morale) valori quali l’amore, Dio, il sacro, la nonviolenza, il bene, il dolore, il vegetarismo, la disobbedienza civile. Certo, lascia un po’ perplessi la facilita? sincretica di Capitini, quell’unire in un unico abbraccio Gandhi, Buddha, Gesu?, San Francesco e Mazzini, e questo e? forse l’aspetto piu? affascinante (piu? seducente, si direbbe) ma anche piu? fragile della “religione aperta” (una religione della liberazione) di Capitini, che non a caso e? stato a lungo guardata con diffidenza dalla Chiesa.
Scrive Capitini, lasciando nel lettore un profondo sentimento di sfida e di sgomento: «Quando incontro una persona, e anche un semplice animale, non posso ammettere che poi quell’essere vivente se ne vada nel nulla, muoia o si spenga, prima o poi come una fiamma. Mi vengono a dire che la realta? e? fatta cosi?, ma io non accetto. E se guardo meglio, trovo anche altri ragioni per non accettare la realta? cosi? com’e? ora, perche? non posso approvare che la bestia piu? grande divori la bestia piu? piccola, che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realta? fatta cosi? non merita di durare».
Qualcosa in piu?, si capisce, di una semplice “marcia per la pace”.

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