L’essenziale è musica

DISCHI Giua e Armando Corsi in «Tre», sorprendente doppio cd
«Riconosci la qualità  quando suoni una frase improvvisando, e quella è tutto quello che ti rimane attaccato alle dita e in testa, se provi a fissarla»

DISCHI Giua e Armando Corsi in «Tre», sorprendente doppio cd
«Riconosci la qualità  quando suoni una frase improvvisando, e quella è tutto quello che ti rimane attaccato alle dita e in testa, se provi a fissarla» GENOVA.  Thelonious Monk diceva che, in musica, «il meno è il più». Leopardi, un secolo prima, lo aveva anticipato, con medesimo ragionamento: «Il troppo è il padre del nulla». Formule che si attagliano alla meraviglia a un piccolo grande disco, TrE, fatto di sottrazioni, più che di addizioni, che merita di essere cercato e gustato, anche se euri ne girano pochi. Ci trovate un’intelligente economia di mezzi, un meno che diventa più: chitarre e voce, qualche amico ospite speciale a portare altre pennellate di note, e splendida poesia in musica. Ci sono maestro ed allieva assieme, ma i ruoli ormai sono parecchio ridefiniti. L’allieva è Giua, Maria Pierantoni Giua al secolo, cantautrice, ennesima conferma che da Genova (in realtà vicino a Genova: Rapallo), periodicamente saltano fuori talenti di assoluta caratura a ridefinire i contorni di quella apparentemente esaurita formula che ci ostiniamo a chiamare «canzone d’autore». E non solo: perché Giua quando non scrive, suona e canta (voce di cristallo pronta ad accogliere qualche deliziosa increspatura amara che la arrochisce) dipinge.
Una delle giovani meraviglie delle nuovissime tele italiane, dal 2005 almeno. Il maestro (aveva diciassette anni anni alla prima lezione, Giua) è Armando Corsi, uno dei sogni della sei corde acustica in Italia. Per intendersi: il musicista instradato da Paco De Lucia, e per lunghi anni colonna portante del suono costruito sul palcoscenico e in sala d’incisione da un altro grande cantautore, Ivano Fossati. Nome che solo a pronunciarlo si attira una scia di rispetto, tra i musicisti e gli addetti ai lavori. Un cuore grande così, le dita che viaggiano sulle corde tra flamenco e tango, tra rumba e fado. Che poi sono quasi, o del tutto, includendo anche De André e il pantheon delle note d’autore, gli stessi di Giua. Perché TrE come titolo per il nuovo doppio cd, appena pubblicato da Egea, e presentato dal vivo a Genova? Perché una coppia in musica separata da una generazione abbondante, all’anagrafe, e che da uno più uno approda al dispari tre, mette in conto l’investimento emotivo che ci deve mettere l’ascoltatore, per gustarsi appieno i 15 inediti che trovate sul primo cd, e le imprevedibili sei «cover» del secondo cd (da Bruno Lauzi a Carlos Gardel). In italiano, spagnolo, genovese, napoletano. Con l’aiuto amorevole di grandi delle note acustiche: Jacques Moreleubaum, sublime violoncellista con Caetano Veloso, Fausto Mesolella, cofondatore degli Avion Travel, Riccardo Tesi, Marco Fadda e altri.
Giua non è un nome mai sentito anche per il largo pubblico. Qualcuno ricorderà perfino una comparsa al Festival di Sanremo, 2008, per l’allora davvero giovanissima ragazza con la massa anarchica di riottosi capelli fulvi: lei così rammenta, con precauzionale understatement : «Sanremo? Una gran bella città. Un bel mare. Il Festival è la cosa meno musicale che mi sia capitato di incontrare nella vita. Lì ho capito, col senno di poi, che Sanremo, il Festival, è l’epitome di tutto quanto non mi piace e non mi interessa della musica. È davvero necessario rivestire di plastica e confezione ed arrangiamenti gonfi una buona idea musicale, un buon testo, per venderseli su un palco? Lì ho capito che non posso e non potrò più rinunciare a una certa dose di piacere che viene solo dalla buona musica». E la pittura? «Anche. Ma musica e colore sono due facce di una stessa medaglia, convivono integrandosi, ne sono sempre più convinta». Già. buona musica, come si riconosce? «Si riconosce subito. Quando suoni una buona frase in improvvisazione, e quella è tutto quello che ti rimane attaccato alle dita e in testa, se provi a fissarla», risponde sornione Armando Corsi. E un buon testo, né banale, né pretenzioso, come ad esempio Totem e Tabù, nel disco, con una clamorosa citazione finale da Nessuno mi può giudicare, come si riconosce? «Quando scrivo testi sono «dentro» le cose, non mi faccio domande. Rispondo a un’urgenza creativa. Non ho paura di essere banale né precipitosa. Il lavoro di fino viene dopo. E se dopo, a riascoltarmi, mi convinco, vuol dire che va bene.»

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password