SAGGI Un libro intervista a Zygmunt Bauman
In queste «Conversazioni sull’educazione» la formazione è letta come lo strumento per garantire la selezione di classe nella società
SAGGI Un libro intervista a Zygmunt Bauman
In queste «Conversazioni sull’educazione» la formazione è letta come lo strumento per garantire la selezione di classe nella società
L’immaginaria mappa delle mobilitazioni universitarie tende a coincidere con le carte geografiche del vecchio continente. Negli ultimi cinque anni non c’è paese che non abbia conosciuto occupazioni degli atenei, scioperi dei campus, petizioni presentati ai governi nazionali. Francia, Inghilterra, Spagna, Italia, Grecia, Germania, fino ai paesi entrati recentemente nell’Unione europea hanno visto l’educazione come un tema al centro della discussione pubblica. D’altronde è dall’avvio del cosiddetto «processo di Bologna» che la formazione è diventata una risorsa strategica per facilitare un mutamento profondo della società in vista di un mercato mondiale segnato da feroci concorrenze e dove appunto la conoscenza poteva costituire una risorsa fondamentale affinché ogni singolo paese e l’Europa tutta non fosse relegata ai margini di una nuova geopolitica e geoeconomia.
La catena di Prometeo
È questo lo sfondo delle Conversazioni sull’educazione tra Zygmunt Bauman e Riccardo Mazzeo, editor di una piccola casa editrice di qualità, la Erickson di Trento, che alla formazione e alla scuola dedica gran parte delle sue pubblicazioni (pp. 146, euro 12). Tanto Bauman che Mazzeo non sono interessati però a ricostruire la mappa dei movimenti studenteschi, bensì a costruire il frame in cui collocarli. Ed è per questo motivo che il libro sposta subito l’attenzione sul significato assunto dalla crisi del progetto «moderno» sull’educazione nella realtà contemporanea. E come in una catena, tutti gli anelli vengono pazientemente annodati l’uno all’altro. Al primo posto c’è il vecchio sogno illuminista dell’accesso alla conoscenza come primo passo alla formazione di un «uomo nuovo» (la donna sarà inserita molto tempo dopo in questo sforzo prometeico). Bauman ricorda, a ragione, che tale obiettivo era presente nella filosofia greca, che assegnava infatti alla «paideia» un ruolo fondamentale nella vita pubblica. Ma è con l’illuminismo che l’educazione è il mezzo affinché parole come autonomia, libertà e eguaglianza scendano dai cieli della «teoretica» per vivere nell’incolta terra dei rapporti sociali per orientare la scelte dei governanti.
L’educazione doveva quindi formare uomini nuovi, liberi dai pregiudizi e forti della possibilità di autodeterminare in libertà la loro vita. La modernità ha posto questo progetto alla base di tutte le istituzioni statali, indifferente a una prima, evidente contraddizione: il rapporto asimmetrico di potere tra docenti e discenti. Poco importava, infatti, che i docenti detenevano la conoscenza, che veniva fatta filtrare in forma arbitraria e secondo una modalità gerarchica, cioè dall’alto verso il basso secondo format rigidi che non ammettevano repliche, perché dovevano plasmare le personalità, le identità individuali e collettive (il termine identità è usato da Bauman come una convenzione sociale, visto che non ha mai creduto molto alla valenza euristica del termine identità) secondo un progetto definito a tavolino.
Giardinieri e mercanti
I lettori di Bauman già conoscono l’uso che fa della metafora del giardiniere, cioè il governante, che trasforma un terreno «grezzo» (la comunità) in un orto botanico (la società). L’educatore è però il suo braccio destro: svolge, anch’esso, una funzione politica. Questo sogno va in frantumi. Da questo momento in poi, gli anelli della catena che vengono inanellati da Bauman e Mazzeo conducono ad affrontare temi legati, appunto, alla materialità dei rapporti sociali.
Per Bauman esiste un rapporto di interdipendenza tra l’«economia del consumo» e la crisi del sistema educativo, perché il consumo è un Beemoth che rende gli uomini e le donne soggetti passivi. E anche la conoscenza è una merce che può essere acquistata, ma una volta che i singoli entrano in suo possesso, risulta obsoleta. Da qui la tensione a sostituirla. Non è la prima volta che l’homo consumer (titolo di altro libro di Bauman pubblicato dalla Erickson edizioni) è posto dallo studioso polacco al centro della riflessione sulla realtà contemporanea. Per quanto riguarda la conoscenza, e l’educazione, assistiamo a una vero e proprio smacco. Una volta che il sapere è ridotto a merce, l’educatore è un semplice venditore. Viene meno così la figura del giardiniere per essere sostituita da quella dell’imbonitore, dello spacciatore di merci. L’educazione non forma più nessun uomo, e donna, nuovo, ma contribuisce a riprodurre la figura dell’homo consumer. Anche la formazione permanente, ultima release del sogni illuminista, cambia di segno: invece che garantire l’accesso alla conoscenza oltre il percorso formativo, il life long learning diviene una sorta di supermercato dove si entra e si acquista la merce-sapere che serve nella contingenza, cioè deve soddisfare quella tensione a rinnovare il consumo di cui scrive Bauman.
Il secondo smacco avviene invece sulla possibilità di entrare nel mercato del lavoro. Il capitalismo non riesce più a garantire lavoro adeguato a laureati, diplomati. La scuola, e l’università, torna così ad avere una connotazione di classe che era stata ridimensionata nei decenni passati. Deve cioè essere una istituzione che produce selezione e quindi esclusione sociale. Un’analisi impietosa, con molti elementi condivisibili, anche se più che di esclusione sarebbe corretto parlare di inclusione differenziata.
Una scuola di élite
Il sistema educativo, in Europa e Stati Uniti, garantisce cioè una formazione di base a tutti, ma la selezione avviene in un secondo momento, nelle università e nei corso postuniversitari. Le retoriche dell’eccellenza e del merito servono cioè a legittimare questa nuova forma di «scuola di classe», perché occorre selezionare chi occuperà posti di prestigio – e ben remunerati, va da sé – che, inutile sottolinearlo, fa già parte di un’élite globale. Dunque, formazione di base per tutti, anche se di mediocre qualità, e corsi di eccellenza universitaria per pochi «eletti».
Non è quindi un caso che le università siano stati il centro di movimenti sociali che hanno infiammato – alcune volte letteralmente, come in Inghilterra e in Italia, le strade. Ma Bauman, e Mazzeo, sono interessati anche alla crisi dell’autorità. Su questo aspetto, emerge un pessimismo radicale, dove l’educazione diventa lo specchio su cui si riflettono tensioni e problemi inerenti la crisi della figura paterna, della famiglia monogamica, del cambiamento delle relazioni tra uomini e donne. Mazzeo annota, infine, che la crisi del sogno illuminista non significa accettare la sua trasformazione nell’attuale incubo. E dunque di come pensare all’educazione come il terreno privilegiato per costruire una società di liberi e eguali.
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