Crimini nazisti, cosa dice davvero la Corte dell’Aia

No ai risarcimenti individuali, sì a quelli collettivi. In attesa della giustizia europea Conviene tornare sulla sentenza pronunciata il 3 febbraio dalla Corte internazionale di giustizia nella causa intentata con successo dalla Germania contro l’Italia, per vedersi confermata la propria sovrana immunità  dalla giurisdizione dei nostri tribunali. La corte dell’Aia ha sbarrato ai familiari delle vittime delle stragi naziste e ai deportati la via del ricorso al giudice italiano per vedersi riconoscere individualmente il diritto a un risarcimento.

No ai risarcimenti individuali, sì a quelli collettivi. In attesa della giustizia europea Conviene tornare sulla sentenza pronunciata il 3 febbraio dalla Corte internazionale di giustizia nella causa intentata con successo dalla Germania contro l’Italia, per vedersi confermata la propria sovrana immunità  dalla giurisdizione dei nostri tribunali. La corte dell’Aia ha sbarrato ai familiari delle vittime delle stragi naziste e ai deportati la via del ricorso al giudice italiano per vedersi riconoscere individualmente il diritto a un risarcimento. I danni di guerra, anche quelli che si configurano come orribili crimini contro l’umanità, erano e restano secondo la corte insediata dalle Nazioni unite, erano e restano materia per regolamenti tra gli stati. È un verdetto che rigetta indietro di decenni il processo di rinnovamento del diritto internazionale, che pure sembrava andare rafforzando il peso dei diritti umani dei singoli rispetto ai poteri sovrani. Ma vietando all’Italia di consentire che la Germania venga chiamata in giudizio nel nostro paese, la Corte ha però ammonito la Germania a negoziare a livello politico un risarcimento per tutte le vittime che si vedono stracciare le sentenze della Cassazione a loro favore: «La Corte ritiene che le richieste originate dal trattamento degli internati militari italiani, insieme a altre richieste di cittadini italiani finora non regolate, possano essere oggetto di un ulteriore negoziato» tra i due paesi. Una possibilità che per il nostro governo è piuttosto un dovere, un «compito» da assolvere col massimo impegno e la massima urgenza, prima che muoia l’ultimo sopravvissuto agli strazi consumati tra il 1943 e il 1945. Mettendo così riparo a anni di colpevoli omissioni. Nemmeno la partita giudiziaria è definitivamente chiusa. Di fronte alla Corte di giustizia europea in Lussemburgo pende la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal tribunale ordinario di Brescia, per conto di Gennaro Currà e altri internati militari e loro eredi. Dice l’avvocato Joachim Lau, che li tutela: «Sul conflitto tra immunità degli stati e diritto al giudice naturale non è detta l’ultima parola. In Lussemburgo ci si misurerà sulle norme europee: “Ogni individuo, i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione sono stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un giudice” (art. 47, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea)». Nel dicembre del 2008, con l’assenso del governo Berlusconi che si dichiarava docilmente interessato a un «utile chiarimento», la Repubblica federale tedesca ha citato in giudizio l’Italia, sostenendo che, «consentendo il pronunciamento tribunali su cause miranti al risarcimento di danni subiti durante la seconda guerra mondiale», avrebbe infranto «l’obbligo di rispettare l’immunità giurisdizionale di cui la Germania gode secondo il diritto costituzionale». Berlino contestava due sentenze della Corte di Cassazione. Innanzitutto quella del marzo 2004, che riconosceva un diritto al risarcimento a Luigi Ferrini, deportato a 17 anni nel Lager di Kahla, difeso dall’avvocato Jachim Lau. La cassazione, pur riconoscendo l’esistenza nel diritto internazionale consuetudinario di un generale principio di immunità degli stati dalla giurisdizione di altri paesi, sosteneva che l’esercizio «tollerabile» della sovranità trova il suo punto di rottura in presenza di violazioni del diritto internazionale umanitario, quindi in presenza di gravi crimini di guerra e di crimini contro l’umanità, come la deportazione e la riduzione in schiavitù. In questi casi, concludevano i giudici di revisione romani, lo scudo dell’immunità viene a cadere. Nell’ottobre 2008, sulla base dello stesso ragionamento, la Cassazione confermò il diritto al risarcimento dei familiari delle vittime delle stragi del 1944 a Civitella in Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio, che si erano costituiti parti civili nel processo in contumacia contro Max Josef Milde, soldato della divisione Hermann Göring. I risarcimenti, come stabilito in primo grado dal tribunale militare di La Spezia, avrebbero dovuto essere pagati in solido da Milde e dalla Repubblica federale. Inoltre il governo tedesco impugnava la decisione, presa nel giugno 2006 dalla corte d’appello di Firenze, di consentire l’esecuzione in Italia di una sentenza greca del 1997, a favore dei familiari delle vittime della strage perpetrata dalle SS nel villaggio di Distomo. Anche in questa causa a rappresentare le vittime era l’avvocato Lau. La sentenza non aveva potuto essere eseguita in Grecia perché il governo d’Atene, cedendo a pressioni politiche dalla Germania, non l’aveva autorizzata. La casazione confermò la decisioni fiorentina su Distomo nel gennaio 2011, quando la causa all’Aia era già in corso. Infine la Germania riteneva intollerabile l’iscrizione di un’ipotega giudiziale su villa Vigoni, disposta a tutela delle pretese delle vittime di Distomo. Villa Vigoni, proprietà del governo tedesco sul lago di Como, ospita un centro studi italo-tedesco. Su questi punti il 3 febbraio la Corte internazionale di giustizia dell’Aia ha dato ragione alla Germania. Con una maggioranza di dodici voti contro tre, ha concluso che «la Repubblica italiana ha disatteso il suo obbligo di rispettare l’immunità di cui la Repubblica federale tedesca gode nel quadro del diritto intenzionale, consentendo che venissero trattate cause civili di risarcimento inerenti a violazioni del diritto internazionale umanitario, commesse dal Reich tedesco tra il 1943 e il 1945». L’Italia avrebbe inoltre violato l’obbligo di rispettare la sovrana immunità tedesca consentendo il pignoramento di villa Vigoni, anche perché sono comunque escluse rivalse su beni governativi destinati a scopi non commerciali. Avrebbe poi peccato per la terza volta accettando l’esigibilità nel suo territorio delle pretese delle vittime della strage di Distomo. Adesso, concludono i giudici dell’Aia facendo propria un’ulteriore richiesta tedesca, «la Repubblica italiana, adottando appropriate misure legislative, o con altri provvedimenti a sua discrezione, deve far sì che cessino di avere effetto le decisioni adottate dai suoi tribunali in contrasto con l’immunità di cui gode la Repubblica federale tedesca». Qui dovrà essere la ministra della giustizia Paola Severino a trovare la soluzione. Le sentenze della Cassazione sono definitive e non suscettibili di revisione. È probabile che, per decreto, si decida di sospendere l’efficacia di quelle contestate dall’Aia. Ma l’avvocato Lau mette le mani avanti: «I miei mandanti sono titolari di diritti di risarcimento acquisiti in via definitiva. Secondo il diritto costituzionale italiano, nessuno può essere espropriato senza risarcimento». Il governo italiano rischia di dover lui indennizzare le vittime italiane e greche, se non riuscirà a negoziare un regolamento risarcitorio con la Germania. La Corte, dicevamo all’inizio, invita caldamente Berlino a soddisfare con un accordo intergovernativo le giustificate richieste delle vittime mai indennizzate. Nella versione integrale della sentenza c’è un passo molto impegnativo sugli internati militati italiani, in cui si ricostruisce la vicenda della loro esclusione dal programma di risarcimento adottato nel 2000 dalla Rft per il lavoro coatto: «Alla stragrande maggioranza dei militari internati italiani venne di fatto negato dalle autorità nazionalsocialiste il trattamento di prigionieri di guerra. Ignorando questa realtà, nel 2001 il governo tedesco decise che questi internati non potevano accedere agli indennizzi, perché dal punto di vista legale avrebbero essere considerati come prigionieri di guerra», esclusi dal programma di risercimento tedesco. «La Corte considera che sia motivo di sorpresa – e di rammarico – che la Germania abbia deciso di negare una compensazione a un gruppo di vittime, attribuendogli uno status che la Germania, all’epoca dei fatti, rifiutò di riconoscere, negando loro la protezione legale che sarebbe spettata ai prigionieri di guerra». Sorpresa e rammarico. È un sonoro ceffone per Christian Tomuschat, il giurista tedesco che escogitò il trucco anti-Imi: sedeva inaula come consulente della parte tedesca.

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