La persecuzione giudiziaria contro il festival Rototom Sunsplash è iniziata nel luglio 2009 dopo un’indagine bizzarra dei carabinieri con l’accusa agli organizzatori di «agevolazione all’uso di sostanze stupefacenti». Oggi, a distanza di tre anni, sta diventando una storia infinita dopo il recente rinvio a giudizio di Filippo Giunta, responsabile dell’evento culturale. Nel frattempo il festival in Italia non esiste più, perché da Osoppo è emigrato in Spagna.
La persecuzione giudiziaria contro il festival Rototom Sunsplash è iniziata nel luglio 2009 dopo un’indagine bizzarra dei carabinieri con l’accusa agli organizzatori di «agevolazione all’uso di sostanze stupefacenti». Oggi, a distanza di tre anni, sta diventando una storia infinita dopo il recente rinvio a giudizio di Filippo Giunta, responsabile dell’evento culturale. Nel frattempo il festival in Italia non esiste più, perché da Osoppo è emigrato in Spagna. È l’ennesima conferma della crisi (e dei tempi) della giustizia, che sceglie di perseguire i deboli e salvare i potenti. Per sostenere i teoremi ideologici della legge Giovanardi sulle droghe, si dilapidano allegramente soldi pubblici e soprattutto si distolgono forze dall’accertamento e dalla repressione di reati gravi, da quelli ambientali a quelli finanziari. La montatura giudiziaria si aggrappa all’art. 79 della legge antidroga (309/90): esso prevede la pena da tre a dieci anni di carcere per chiunque adibisce un locale pubblico o un circolo privato a luogo di convegno di persone che ivi si danno all’uso di droghe. È una norma ambigua, che raramente è stata utilizzata negli impianti accusatori per la difficoltà interpretativa. Ma il giudice per le indagini preliminari, Roberto Venditti, ha accolto l’impianto accusatorio e ha sbrigativamente equiparato il Parco del Rivellino, frequentato da decine di migliaia di persone, alle quattro mura di un caffè. Per rafforzare la sua interpretazione della norma nel provvedimento di rinvio a giudizio, il magistrato richiama il secondo comma che allarga la previsione «a un immobile, un ambiente o un veicolo a ciò idoneo». Tace però che lo stesso comma specifica che si deve trattare di un luogo di «convegno abituale di persone». La partecipazione a un concerto, a un dibattito o la visita agli stand hanno un carattere occasionale, non certo abituale. In più, quando si parla di convegno abituale, ci si riferisce con evidenza a un “giro” definito di persone.
Il giudice Venditti ricalca anche le valutazioni del procuratore del tribunale di Tolmezzo Giancarlo Buonocore, secondo cui Rototom sarebbe stato un punto d’incontro di persone in preda alle «suggestioni culturali riconducibili all’ideologia rastafariana che prevede l’associazione tra musica reggae e marijana» (sic!). Meno pregiudizi razzisti e più conoscenza della storia dei Caraibi e dei movimenti di resistenza al dominio coloniale avrebbero potuto evitare affermazioni così spericolate. Ma sospetto e pregiudizio ancora ricorrono quando il Gup ritiene di trovare conferma del comportamento «dolosamente tollerante» degli organizzatori del festival nel servizio di assistenza legale all’interno del festival. Di fronte a una legge fra le più punitive in Europa, che riempie le galere di tossicodipendenti e di consumatori con pene che vanno da 6 a 20 anni di carcere, si dovrebbe fare come Ponzio Pilato? Nel 2009 una medesima montatura contro il Livello 57di Bologna fu alla fine ridicolizzata da una sentenza di assoluzione, giunta però troppo tardi per riparare il danno provocato dalla chiusura del centro sociale. Il processo che si svolgerà in Carnia deve diventare l’occasione per mettere sul banco degli imputati la legge Giovanardi. L’appuntamento è dunque per il 31 maggio a Tolmezzo in nome della giustizia giusta e del diritto, della cultura e della libertà.
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