Presi nella Rete della trasparenza

LA FABBRICA DEL CONSENSO. Internet è uno spazio pubblico dove la condivisione delle informazioni è invocata per dare nuova linfa a un potere politico in crisi di legittimazione e per rendere più efficiente il mercato. Ma anche una parola d’ordine per contestare la colonizzazione del cyberspazio da parte delle imprese. Un’anticipazione dall’ultimo numero di «Lettera internazionale»

LA FABBRICA DEL CONSENSO. Internet è uno spazio pubblico dove la condivisione delle informazioni è invocata per dare nuova linfa a un potere politico in crisi di legittimazione e per rendere più efficiente il mercato. Ma anche una parola d’ordine per contestare la colonizzazione del cyberspazio da parte delle imprese. Un’anticipazione dall’ultimo numero di «Lettera internazionale»

La trasparenza è diventata oggi una delle idee centrali nella (ri)costituzione del potere politico. Sebbene da un lato sia considerata un’istanza essenzialmente progressista, negli ultimi decenni si è sviluppata anche una critica radicale della trasparenza vista come controllo imposto dall’alto. Per sciogliere questa questione, bisogna tenere presenti due diversi paradigmi di trasparenza che agiscono simultaneamente. Nella teoria politica liberale, l’istanza di trasparenza è rivolta alle istituzioni statali e riguarda la loro responsabilità nei confronti della società, vale a dire verso quei cittadini che ne legittimano il potere. La teoria politica neoliberale, invece, indirizza la richiesta di trasparenza ai protagonisti del mercato, affinché riducano l’incertezza in una sfera di azione e di astrazione ormai globalizzata.
Nella prima prospettiva, si pone la questione di come vecchie nozioni di trasparenza possano essere ancora valide nel contesto di una società in cui il sistema di informazione è diventato molto complesso. Protagonista di questo dibattito è, al momento, WikiLeaks. Dal secondo punto di vista, poiché la logica di mercato si è estesa a tutti gli ambiti della nostra vita e diventa sempre più repressiva con l’avanzare della crisi economica, emerge una resistenza nei confronti della trasparenza, che mette in luce strategie sovversive di non trasparenza e il rifiuto di rendersi visibili e rintracciabili. Un ruolo molto importante nella formulazione di questa critica lo ha svolto il collettivo francese Tiqqun.(…)
La trasparenza, vale a dire la possibilità da parte di terzi di accedere ai documenti relativi ai procedimenti interni alle istituzioni pubbliche, è un elemento chiave per il controllo e per l’equilibrio del sistema istituzionale. Ognuna delle funzioni pubbliche può controllare direttamente un’altra, ed è possibile costruire una sfera pubblica ampia in modo che i funzionari eletti (e gli uffici da loro diretti) diano conto al loro elettorato.
Governanti senza consenso
Per Max Weber, una delle caratteristiche che definiscono l’«autorità legittima» moderna è che «atti, decisioni e leggi sono formulati e messi per iscritto, anche nei casi in cui la discussione orale è prassi o addirittura obbligo (come accade in tribunale). Questo vale sia per discussioni preliminari e proposte, sia per decisioni definitive, e si applica a qualunque tipo di ordinanza e di legge». Quanti di questi documenti siano veramente accessibili a tutti, contribuendo davvero a diffondere pratiche di trasparenza nella società, è ovviamente una questione dibattuta, che varia a seconda dell’equilibrio dei poteri insito nelle singole istituzioni statali. In linea di massima, si può affermare, però, che nei paesi occidentali ha preso sempre più piede un modello istituito nel XIX secolo in cui si richiede alle istituzioni pubbliche di documentare le proprie azioni e che questa documentazione sia resa accessibile (…).
D’altro canto, sta crescendo la sensazione che, nonostante ciò, molte istituzioni pubbliche siano diventate meno trasparenti e che la distanza tra Stato e cittadini sia di fatto aumentata. La democrazia sta scivolando in una vera e propria crisi di legittimità, che in parte dipende dall’inadeguatezza dei mezzi che dovrebbero favorire la trasparenza. (…) Inoltre, bisogna considerare anche un aspetto soggettivo della questione: ci siamo ormai abituati all’accesso istantaneo a masse enormi di informazioni attraverso infrastrutture sofisticate e, quindi, la lentezza e la difficoltà di queste procedure ufficiali sembrano atti di ostruzionismo. In altre parole, c’è una discrepanza tra i mezzi disponibili in pratica e i fini che questi mezzi dovrebbero raggiungere in teoria, anche laddove il sistema dovesse funzionare senza problemi nella sua forma attuale. Tuttavia, di fatto, non funziona, perché il problema ha anche un risvolto politico. Sempre più spesso i funzionari statali ritengono opportuno proteggere la loro attività dallo sguardo dell’opinione pubblica, specialmente quelle azioni che temono possano generare critiche da parte della società civile. Lo fanno invocando lo spettro generico della sicurezza nazionale, interpretando le nozioni di «privilegio esecutivo» in modo molto ampio, o semplicemente adottando la segretezza come modus operandi, soprattutto per quanto riguarda le negoziazioni internazionali. Per fare un esempio, l’accordo anticontraffazione (Acta), un trattato molto controverso ma tutto sommato ordinario, è stato discusso segretamente per due anni prima che la sola esistenza delle negoziazioni fosse resa pubblica. Poi ci sono voluti altri due anni e una campagna massiccia prima che una bozza del trattato fosse pubblicata nell’aprile del 2010. (…)
Il successo di Wikileaks
Lo scopo di WikiLeaks è di intervenire su entrambi questi fronti. Innanzitutto, mettendo a disposizione documenti pubblici attraverso modalità adeguate alla cultura tecnologica corrente: cioè pubblicandoli in rete, rendendoli accessibili a tutti, ricercabili, leggibili al computer e scaricabili, per qualsivoglia motivo, senza registrazione o controlli sull’accesso. In secondo luogo, rendendo accessibili documenti di interesse pubblico che sono stati tenuti segreti (…). . Nonostante le polemiche e le ostilità di funzionari infastiditi e di media invidiosi, per non parlare delle notevoli tensioni e contraddizioni insite nel progetto stesso, la reazione pubblica a questo tipo di divulgazione è stata però estremamente positiva. Il fondatore del progetto, Julian Assange, è diventato una celebrità, per molti, un eroe. WikiLeaks può contare sull’opinione diffusa che le istituzioni pubbliche non siano sufficientemente trasparenti e che quindi siano necessari mezzi non convenzionali per ottenere trasparenza. (…)
Questa ripresa del concetto liberale di trasparenza porta a una rinascita della critica nei suoi confronti. L’analisi che Henry Lefebvre formulò nei primi anni Settanta è più che mai attuale: «Il presupposto è che una realtà criptata diventa subito decifrabile grazie all’introduzione del discorso prima e della scrittura dopo… In ogni caso, la parola orale e quella scritta sono considerate pratiche (sociali), e si presuppone che sia possibile dissipare assurdità e oscurità, viste come aspetti dello stesso fenomeno, senza una corrispondente scomparsa dell'”oggetto” … Questi sono i presupposti di un’ideologia che, postulando la trasparenza dello spazio, identifica conoscenza, informazione e comunicazione. È sulla base di questa ideologia che le persone hanno a lungo creduto che soltanto attraverso la comunicazione si potesse ottenere un cambiamento sociale rivoluzionario.
Alla base dell’ideologia di trasparenza identificata da Lefebvre, c’è il presupposto che sia soprattutto la mancanza di comunicazione e di conoscenza a impedire alle istituzioni di funzionare bene, e che, al contrario, una maggiore comunicazione e una maggiore conoscenza risolverebbero da sole il problema. Ma questa idea è problematica oggi come lo era nel 1974. Dal punto di vista di Lefevbre (e di altri marxisti), il problema principale non era l’inefficienza delle attività delle istituzioni statali, ma le relazioni sociali antagonistiche che esse incarnano. Rendere lo Stato più efficiente aumentando la trasparenza risolverebbe solo i problemi della borghesia. Una politica radicale, invece, dovrebbe cambiare le relazioni sociali insite nello Stato stesso e da esso riprodotte. (…)
Politica dell’invisibilità
Questa parte del dibattito può essere considerata una versione aggiornata al XXI secolo del paradigma della trasparenza nato nel XIX. Nel frattempo, però, un’analisi molto diversa della trasparenza è stata proposta in modo interessante dal collettivo Tiqqun e da Brian Holmes, che prendono le mosse dal capitalismo cibernetico e dal neoliberismo che si sono sviluppati dopo la Seconda Guerra Mondiale e che hanno raggiunto rilevanza sociale negli anni Settanta come risposta alla crisi del capitalismo industriale keynesiano. Così, è stata proposta una nozione molto diversa di trasparenza. Invece che riguardare la responsabilità delle istituzioni pubbliche nei confronti dei cittadini, la trasparenza è vista come un modo per ridurre le “asimmetrie informative”. La sua funzione principale è quindi quella di rendere più efficiente il mercato. (…)
Trasformare però la critica della trasparenza in politica dell’invisibilità porta al vicolo cieco di una visione romantica di gruppi clandestini che devono compensare con l’intensità della comunicazione interna la mancanza di connessioni esterne. Si finisce così per sacrificare l’unica innovazione contemporanea fondamentale che possa rendere possibili forme nuove di azione politica: la possibilità di creare nuove connessioni “deboli” attraverso i media digitali che permettono di sincronizzare in un nuovo ritmo collettivo organismi indipendenti. Questa sincronizzazione si attiva attraverso piccoli atti di fiducia, i quali possono poi portare ad atti di fiducia più grandi, ed è possibile grazie a forme particolari di visibilità. Le persone si incontrano e vivono zone di reciprocità (e zone di conflitto). Affinché ciò accada, però, è assolutamente necessario un certo grado di trasparenza. Senza il riconoscimento di una reciprocità di affetti non può emergere alcuna solidarietà sociale. E senza forme relativamente aperte di trasparenza, la reciprocità non può aumentare e rimane chiusa in un panorama frammentato di piccoli gruppi che comunicano tra di loro attraverso canali clandestini invisibili a chi non vi appartiene. In altre parole, l’intensità non è un’alternativa alla diffusione.
Visibili perché antagonisti
Quindi, dobbiamo distinguere tra diverse forme di trasparenza, che danno luogo a diverse forme di relazione sociale. La trasparenza all’interno della concezione liberale, nella forma che aveva nel XIX secolo e che ha nel XXI, dà per scontata l’esistenza di forme di istituzioni pubbliche gerarchiche e di un potere rappresentativo, ma ha lo scopo di bilanciarla con una visibilità che potremmo definire «dal basso». Riconoscendo che la struttura dello Stato richiede un potere concentrato nelle istituzioni, servono meccanismi per cui coloro che sono dentro le istituzioni, vale a dire coloro che detengono il potere, diventino responsabili nei confronti dell’esterno, cioè del mondo che dovrebbero servire. Queste relazioni di responsabilità non vanno eliminate, ma da sole non sono più sufficienti, perché il potere non agisce più soltanto attraverso le istituzioni, ma anche e sempre di più attraverso standard. Gli standard ora dominanti richiedono forme particolari di trasparenza che, una volta attivate, creano un tipo di visibilità «dall’alto», in base alla quale coloro che hanno maggiori capacità di elaborare le informazioni possono modificare, più o meno sottilmente e a proprio vantaggio, le condizioni in cui tutti gli altri lavorano come «liberi agenti». Piuttosto che utilizzare comandi, il potere si serve di proposizioni apparentemente neutre del tipo «se… allora».
La trasparenza del corpo sociale assicura che questi enunciati siano abbastanza sottili da essere percepiti come dati di fatto e non come imposizioni. Quindi, se accettiamo l’idea che gli standard sono modi per attivare il coordinamento sociale di agenti autonomi (cioè quelli che sono fuori dalle strutture gerarchiche di comando e di obbedienza), dobbiamo sviluppare standard nuovi che non facciano parte del programma neoliberista. Se accettiamo poi l’idea che la socialità contemporanea ha bisogno di operare su scala globale, dobbiamo anche trovare un modo per articolare la reciprocità su quella scala. Condizione essenziale per fare questo è una forma di visibilità che permetta di sincronizzare le azioni senza alimentare il meccanismo del controllo cibernetico. Quindi è necessario un paradigma di trasparenza che sia rigorosamente orizzontale e che ci permetta di estendere la socialità su larghissima scala. Questo richiede nuovi standard di comunicazione e nuovi mezzi di comunicazione che sostengano attivamente l’esperienza di reciprocità e che limitino fortemente l’applicazione di una visibilità dall’alto.
Traduzione di Stefania Porcelli

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Dai lavoratori usa e getta al conflittuale avvento dell’«era ibrida»

Il nuovo numero di «Lettera internazionale» è suddiviso in tre grandi sezioni. La prima è deidicata alla crisi economica e comprende articoli e saggi di Judith Butler (Lavoratori usa e getta»), Paolo Leon («Keynes è morto. Viva Keynes»), Gina Poalo Calchi Novati («I confini d’Europa»), Gayatri Chakravorty Spivak («Sciopero generale»), Raffaele Laudani («Attualità dell’indignazione»), Maurizio Viroli («La libertà è un bene fragile»), Francesco Biscione («Un’idea dell’Italia»), Gianni Toniolo («L’Italia e l’economia internazionale»), Milos Crnjanski («Virgilio presso gli Sciti»). La seconda è dedicato alla formazione con articoli di Steve Pinker, Gilberto Corbellini, Howard Gardner, Bozidar Stanisic. La terza sezione («La technik») presenta uno scritto di Marshall McLuhan, Felix Stalder (che anticipiamo in questa pagina) e Ayesha e Parag Khanna.

 

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