La primavera birmana

Primi timidi spiragli di libertà  a Rangoon, e il Paese fa le prove di democrazia. Mentre l’ex prigioniera politica San Suu Kyi inizia il suo tour elettorale.     Il tema dell’oblio è ricorrente in queste ore di passaggio tra il vecchio e il nuovo. I riti magici sotto le pagode servono anche a sciogliere l’incantesimo della paura e perdonare. È una esagerazione pensare che il Paese sia stanco della dipendenza dalla Cina. I prigionieri politici tornano liberi. Il partito della dissidente più famosa si prepara a entrare in Parlamento e forse addirittura al governo. La dittatura militare allenta la morsa. Così in Birmania il cammino verso la democrazia è diventato ormai una realtà . Senza ritorno

Primi timidi spiragli di libertà  a Rangoon, e il Paese fa le prove di democrazia. Mentre l’ex prigioniera politica San Suu Kyi inizia il suo tour elettorale.     Il tema dell’oblio è ricorrente in queste ore di passaggio tra il vecchio e il nuovo. I riti magici sotto le pagode servono anche a sciogliere l’incantesimo della paura e perdonare. È una esagerazione pensare che il Paese sia stanco della dipendenza dalla Cina. I prigionieri politici tornano liberi. Il partito della dissidente più famosa si prepara a entrare in Parlamento e forse addirittura al governo. La dittatura militare allenta la morsa. Così in Birmania il cammino verso la democrazia è diventato ormai una realtà . Senza ritorno

RANGOON. I vecchi cavalli di frisia arrugginiti giacciono riversi sul lato della strada che costeggia il lago Inya di Rangoon, simbolo dismesso del sanguinario regime birmano. «Quando venni arrestato era uno dei miei incubi ricorrenti, e rivedevo in sogno i soldati coi fucili spianati dietro quei rotoli di filo spinato», racconta Ba Htoo Maung, 42 anni, undici passati in diverse carceri per aver partecipato alle rivolte studentesche domate nel sangue nel 1988.

Htoo dice che spesso continua a svegliarsi pensando di essere ancora in cella con le catene ai piedi, ma ormai gli succede sempre meno, e non lo assale più la paura e la rabbia mentre cammina lungo i marciapiede un tempo ricoperti di cadaveri dei dissidenti uccisi durante le manifestazioni di protesta. A Otto Miglia, dove si incrociano le due principali arterie cittadine, si fa largo tra la folla delle piccole traverse piene di banchetti odorosi di cibo piccante birmano, cinese, shan, per sfuggire ai boulevard trafficati come mai di nuove auto giapponesi per ricchi e vecchissimi veicoli che costano ancora un occhio della testa.
Sebbene non sia più una novità, a Ba Htoo fa ancora impressione vedere il volto della leader dell´opposizione Aung San Suu Kyi riprodotto liberamente sulle magliette dei passanti. Anche al mercato colorato di spezie e verdure esposte a terra tra la polvere, si vendono decine di nuove riviste piene di foto della Lady con le notizie sulla sua candidatura al Parlamento.
«Finora i militari ci avevano sempre detto delle bugie, per questo nessuno di noi gli credeva più», commenta l´ex prigioniero politico, entusiasta di vedere invece i segni dei primi veri cambiamenti, come la liberazione di quasi tutti i suoi compagni lasciati per decenni marcire nelle celle.

«Del resto basta guardare la folla sempre più grande di turisti e stranieri in giro per la ex capitale – dice – per rendersi conto che l´apertura del Paese sta diventando ormai una realtà senza ritorno».
A guidare la Birmania verso la democrazia, Aung San Suu Kyi ha trovato un alleato di regime formidabile nell´ex generale Thein Sein, l´attuale presidente. È stato lui a sdoganare la Lady e il suo partito, ritagliandosi l´immagine del liberatore, un Gorbaciov della perestrojka asiatica, emulo del sudafricano De Klerk che segnò la fine dell´apartheid. Sotto voce, qualcuno attribuisce la svolta al generalissimo Than Shwe, che è stato per gli ultimi 19 anni il líder maximo del Paese. Quasi scomparso dalla scena, enormemente ricco come gran parte dei gerarchi del suo regime, Than Shwe sembra essersi davvero messo in pensione, rassicurato dalla promessa di Aung San Suu Kyi di lasciarlo in pace per i giorni che gli restano.
Il tema del perdono e dell´oblio è ricorrente in queste ore di passaggio dal vecchio al nuovo. Nella quiete della pagoda dorata di Shwe Dagon, tra nicchie e altari sormontati di statue con le aureole dei Buddha colorate da lumini elettrici intermittenti, una selva di occidentali armati di macchine fotografiche immortala i devoti mentre versano acqua sulle immagini sacre che corrispondono al proprio giorno di nascita. È una tradizione che simboleggia la pulizia del karma personale, ovvero delle cattive azioni passate. Ma d´ora in poi il gesto assume anche un altro significato: sciogliere l´incantesimo della paura, dimenticare ciò che è stato, perdonare e andare avanti senza vecchi fantasmi verso un mondo che cambia.
Aung San Suu Kyi, devota buddhista come gran parte dei birmani – generali inclusi – ha chiesto apertamente alla sua gente di mettere una pietra sopra i cinquant´anni di spietatezze della dittatura militare. Per questo sarà accolta dagli ex nemici nella roccaforte della nuova capitale di Naypidaw, e appena eletta dovrà trasferirsi almeno tre mesi l´anno lassù, 400 chilometri lontana dalla vecchia e celebre casa-prigione sul lago Inya.
La circoscrizione elettorale scelta da Aung San Suu Kyi è una delle più povere tra le 48 dove si voterà per sostituire altrettanti ex generali diventati ministri. Abitata quasi totalmente da contadini, a un´ora e mezzo di auto da Rangoon, si estende per qualche decina di chilometri attorno alla township di Khawhmu. In una delle sale da tè dove ormai si parla apertamente di politica e di democrazia, l´attivista della Lega di opposizione U Soe Min ci assicura di non avere dubbi sul risultato: «Qui da noi prenderà il 90 per cento», assicura: «Braccianti e piccoli proprietari sono assillati dai crescenti prezzi di ogni genere di consumo, mentre diminuiscono i guadagni per la vendita del riso e degli altri prodotti agricoli locali. Tutti sperano che con la nostra Lady in Parlamento, e poi magari al governo, le cose cambieranno davvero».
Un anno fa questa città di 50 mila anime, lontana dalle principali rotte commerciali, elesse senza quasi opposizione uno dei ministri dell´attuale governo. Ma da quando è stata annunciata la candidatura di Aung San Suu Kyi, il vento del nuovo raggiunge perfino i più remoti insediamenti rurali. Il volto scurito dal sole e un cappellaccio in testa, al vecchio U Kyi Myint brillano gli occhi pensando alle possibilità che potrebbero aprirsi per figli e nipoti con un avvicendamento democratico al regime. «Un bracciante adesso guadagna 2500 kyatt (tre dollari) al giorno – spiega – ma il lavoro è stagionale, e molti si accontentano di allevare nelle pozze lasciate dalle piogge monsoniche piccoli pesci e rane da vendere al mercato. Pochi di noi possono permettersi di mandare i figli a scuola, e li tengono inchiodati ai campi e ai capricci del tempo».
In tutti i distretti elettorali si riversa ora su Aung San Suu Kyi e sull´Nld la speranza di un libero mercato senza gli effetti della corruzione di regime, e senza i danni ambientali del passato. Anche se è un voto parziale, il Partito potrebbe emergere come l´unica consistente forza istituzionale di opposizione, se non andrà addirittura al governo. Fonti autorevoli suggeriscono che la Lady potrebbe diventare ministro degli Esteri, o addirittura vicepresidente, anche se per questo deve essere cambiata la Costituzione, perché chi ha sposato uno straniero in Birmania non può diventare presidente né vicepresidente, ma eventualmente solo ministro. «Dobbiamo essere consapevoli che presto i due poteri si riuniranno in uno», assicura Ba Htoo: «I generali non possono aprire il Paese al mondo senza l´appoggio dell´opposizione. Loro hanno già i soldi, adesso vogliono la sicurezza per sé, e un alleggerimento delle sanzioni che possono ottenere solo grazie alla popolarità di Aung San Suu Kyi in Occidente».
Secondo il giornalista economico Thiha Saw, direttore di due riviste ancora sottoposte a parziale censura, il segreto di questa Primavera birmana in embrione «è legato alla fine della luna di miele tra i dittatori e la Cina, che da una parte li ha protetti per decenni, ma dall´altra ha sfruttato le risorse birmane senza portare al Paese che prodotti da quattro soldi e tecnologie arretrate». «Da noi – fa eco Ba Htoo – si dice che c´è acqua ovunque, ma nemmeno un goccio da bere. Vuol dire che possediamo molte risorse, ma non vanno a beneficio del popolo».
L´idea di una Birmania stanca della dipendenza dalla Cina non è solo un´esagerazione dettata dall´ottimismo dei militanti. Nella speranza di ritagliarsi un posto privilegiato nelle relazioni commerciali con il Myanmar prima degli Stati Uniti – per ora fermi al rigido embargo degli anni passati – l´Unione Europea ha già abolito i divieti di visto per i membri del regime, e a marzo potrebbe togliere anche le sanzioni economiche.
Il nuovo clima si riverbera già nella vita di tutti i giorni. A Rangoon gli affitti sono saliti alle stelle e molti abitanti del centro rischiano di essere sloggiati per lasciare il posto a negozi di telefonini, grandi alberghi, uffici commerciali e agenzie finanziarie, che hanno già iniziato a trattare apertamente affari con l´Occidente.
Ispirati dalla modestia della loro leader, i dirigenti dell´opposizione sembrano gli unici a mantenere un profilo basso nell´ondata di eccitazione generale. Nella sede dell´Nld le magliette della Lady o i gadget con la nuova bandiera del Pavone combattente e una stella bianca si vendono a 4 dollari per finanziare la ristrutturazione della sede storica, che dev´essere rialzata di tre piani. Il minimo per un Partito che al termine della campagna di tesseramento prevede di raggiungere almeno un milione di iscritti.

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