Il giorno dopo della retata tra i ribelli No Tav, con ventiquattro ordini di custodia cautelare in carcere ad altrettanti attivisti accusati di resistenza e lesioni contro le forze dell’ordine, la Guardasigilli Paola Severino torna, nell’inaugurare a Catania l’anno giudiziario, a ribadire che il carcere non può essere usato come strumento di «vendetta dello Stato».
Il giorno dopo della retata tra i ribelli No Tav, con ventiquattro ordini di custodia cautelare in carcere ad altrettanti attivisti accusati di resistenza e lesioni contro le forze dell’ordine, la Guardasigilli Paola Severino torna, nell’inaugurare a Catania l’anno giudiziario, a ribadire che il carcere non può essere usato come strumento di «vendetta dello Stato». «Extrema ratio», ha sempre ammonito la ministra che ieri ha anche voluto sottolineare come «dallo stato delle carceri si misura il livello di civiltà di un Paese». Combattere la pena accessoria del sovraffollamento delle nostre prigioni è, ha osservato Severino, «il miglior modo per dimostrare anche ai criminali della massima pericolosità l’intima diversità tra la legalità della nostra democrazia ed ogni forma di intollerabile arbitrio». Ma non è un giorno fortunato, quello che apre l’anno giudiziario con due detenuti morti nelle ultime ore, e in particolare con il suicidio di un cittadino marocchino detenuto in una camera di sicurezza della questura di Firenze, come stabilito nel decreto legge Severino in via d’approvazione alla Camera e duramente contestato dai sindacati penitenziari e di polizia. Fuori dalle sedi delle Corti d’Appello d’Italia, a ricordare che la giustizia è «in bancarotta, viola i diritti umani e danneggia il sistema produttivo» e a insistere ancora sull’«amnistia, l’unico intervento che consentirebbe nell’immediato un taglio drastico dell’arretrato di 10 milioni di processi pendenti e il ripristino di un minimo di Stato di diritto», sono stati ancora i Radicali, che hanno organizzato la «contro-inaugurazione» dell’anno giudiziario. Ma a rendere il clima delle cerimonie ufficiali più pesante è arrivata la protesta contro le liberalizzazioni degli avvocati che hanno disertato la cerimonia in molto città, tra cui Roma, Torino e Firenze, si sono presentati in alcuni casi con un bavaglio sulla bocca e in altri con striscioni. La risposta della ministra Severino è arrivata subito: «Da lunedì comincerà il dialogo diretto con l’Avvocatura», ha detto promettendo «totale» disponibilità al confronto da parte del governo. Prescrizione tabù? Ma la polemica più pericolosa, per l’esecutivo Monti, è quella sulla prescrizione. «Non è un tabù – ha affermato Severino in un’intervista al Messaggero – Piuttosto, si deve valutare se il problema rappresenti la causa o la conseguenza della lentezza della giustizia». È un «agente patogeno», invece per il procuratore della Corte d’Appello di Milano, Giovanni Canzio: «Incentiva strategie dilatorie della difesa». Gli fa eco Luca Palamara, presidente dell’Anm, che notando un «clima politico sicuramente diverso rispetto agli ultimi anni» perché le priorità non sono più «processo breve, processo lungo e intercettazioni», ma «corruzione, evasione fiscale e riciclaggio», chiede «il coraggio di metter mano alla disciplina della prescrizione. Ce lo dice l’Europa». Immediate le reazioni del Pdl: «La prescrizioni non è ascrivibile alla strategia della difesa – protesta Francesco Sisto, della commissione Giustizia della Camera – sono invece le indagini che durano troppo e la violazione del loro termine di durata non comporta alcuna sanzione per i responsabili». Si dice invece «stupefatto», Enrico Costa, il capogruppo Pdl in commissione Giustizia, per quello che considera «un assist ai giudici milanesi» da parte del procuratore Canzio che «ha scelto di parlare di prescrizione proprio oggi», «non appena il suo ufficio è stato investito dell’istanza di ricusazione dei giudici del processo Mills».
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