Lo sguardo di Theo. Scene di lotta da un film senza finale

Il padre è un politico potente e senza scrupoli, la figlia una ragazza che ama Brecht e i miserabili. Sullo sfondo la Grecia tragica dei nostri giorni. Di questo parla “L’altro mare”, l’ultima fatica di Angelopoulos, rimasta incompiuta dopo l’improvvisa morte del regista. Ecco alcune sequenze dalla sua sceneggiatura. La marcia Orestis ed E. salgono sulla moto, gli altri salgono in macchina e seguono gli scioperanti. È una marcia. Una marcia lenta, silenziosa e corrucciata che scende in città , terrorizzando i rari passanti e le auto che circolano di tanto in tanto 

Il padre è un politico potente e senza scrupoli, la figlia una ragazza che ama Brecht e i miserabili. Sullo sfondo la Grecia tragica dei nostri giorni. Di questo parla “L’altro mare”, l’ultima fatica di Angelopoulos, rimasta incompiuta dopo l’improvvisa morte del regista. Ecco alcune sequenze dalla sua sceneggiatura. La marcia Orestis ed E. salgono sulla moto, gli altri salgono in macchina e seguono gli scioperanti. È una marcia. Una marcia lenta, silenziosa e corrucciata che scende in città , terrorizzando i rari passanti e le auto che circolano di tanto in tanto 

Theo è morto come uno dei miserabili del suo film, come uno degli immigrati clandestini che cercano al porto un imbarco e trovano – di notte – le ruote di un Tir. Come uno degli scioperanti disperati della Biohalkos, la fabbrica che chiude perché si va a produrre dove costa meno, e volano giù nudi dai tetti, i cinquantenni licenziati, per strada i cordoni di polizia. Solo non è stato un camion a travolgerlo, è stata la moto di un poliziotto fuori servizio, ché se fosse stato in servizio sarebbe stata con esattezza una scena del suo film. È morto con loro, stasera alle undici saranno cinque giorni, al porto del Pireo, sul set, davanti ai figuranti che a centinaia cercano un imbarco e a decine muoiono, davanti al protagonista del film, Toni Servillo, tra le braccia del suo amico della vita Amedeo Pagani – Amedeo si chiama anche l´italiano che i trafficanti di uomini sentono al telefono per assicurarsi che la spedizione sia andata a buon fine, a Bari. «Chiama Amedeo, naturalmente», dice la battuta sul copione e sembra davvero di sentire la sua voce, la voce di Angelopoulos, che centinaia, migliaia di volte in questi anni ha detto: chiamate Amedeo. Il quale Amedeo, quello vero, quando tornavano dalla fine delle riprese e sedevano a Roma attorno a un tavolino di legno, all´aperto, rideva dicendo che Theo è impossibile, proprio impossibile, un perfezionista visionario, ti ho già detto di quando dopo aver allagato la vallata – ma allagata davvero, col paese sott´acqua e tutto – ha visto il girato, ha detto no, non va bene, la rifacciamo, allaghiamo la valle di nuovo? Hai presente cosa voglia dire allagare una valle non una, due volte? E Theo accanto, in silenzio, lo guardava ironico e solo con gli occhi sorrideva. «Non parlo mai molto», disse una volta a Wim Wenders che ascoltava dagli amici il racconto dei suoi silenzi, perché «vivo in un paese dove ogni sasso ha molta più storia, molte più cose da raccontare di ciascuno di noi. Ascolto i sassi, e serve silenzio per sentirli».
Il copione del suo film, eccolo, sono settantaquattro pagine appena – la data è 3 ottobre 2011 – ma sarebbero diventate certo cinque ore di girato, forse sei. Piani sequenza infiniti, silenzi più eloquenti delle parole. Poi due ore di film, alla fine, dopo i tagli e il montaggio. Un´ora è già girata, erano arrivati a metà del lavoro. Servillo sarebbe rimasto una settimana ancora, le scene principali c´erano già tutte. Chissà se si finirà mai, L´altro mare. Chissà se è possibile anche solo concepire che qualcun altro metta le mani sugli appunti di Theo e racconti la Grecia che muore come l´ha vista agonizzare lui, con la «tartaruga con innumerevoli zampe» – un telo di nylon immenso che ripara dalla pioggia torrenziale centinaia di scioperanti – che scende «lenta silenziosa e corrucciata» verso il centro deserto e spaventato della città.
L´altro mare, il titolo, sgorga da un verso di Seferis: “Abbiamo attraversato il mare che porta all´altro mare”. Siamo ad Atene, oggi. Una città (un Paese) piegata dalla devastante crisi economica e sociale: «La metà dei negozi è chiusa, le vetrine sono vuote, i cartelli indicano affittasi o vendesi. I senzatetto occupano lo spartitraffico delle grandi strade. Sui marciapiedi cartoni lamiere tende, persone che cucinano sulla strada cercando di evitare le auto. Una lunga fila di miserabili in attesa di un pasto in un piatto di carta». Il protagonista, P., è un uomo politico e un imprenditore, per così dire. Gestisce il traffico dei clandestini in transito dalla Grecia verso l´Italia. Afgani, soprattutto. Muove i Tir, corrompe la polizia, lavora di notte ai bordi delle strade. Scende dalla sua jeep nelle piazzole buie, controlla i carichi, parla con gli autisti, poi di giorno torna in municipio dove siede tra gli scranni del partito di maggioranza. Se il sindaco si dimette, come sembra, toccherà a lui. Dunque bisogna immaginare Toni Servillo, nella finzione un uomo sui 65 anni, silenzioso, sempre solo, sotto processo per qualche misterioso reato, politico potente e trafficante senza scrupoli. Ha un autista, P., un avvocato e una figlia. La figlia, E., vive sola con lui da quando aveva cinque anni. La madre è stata uccisa – nella prima scena del film – mentre scendeva dalla macchina di un inglese, forse il suo amante. E. ha quasi trent´anni, adesso. Lavora nella compagnia teatrale che sta mettendo in scena l´Opera da tre soldi di Brecht. Lei è Jenny dei pirati. Col padre non parla quasi, dividono una grande casa nella quale si sfiorano appena, lui la cerca, lei lo evita. Il conflitto per strada e nel paese è il conflitto nella casa. Il politico potente che gestisce il vergognoso traffico di uomini, responsabile o corresponsabile della chiusura delle fabbriche, e la giovane attrice che recita nella compagnia in cui gli operai e i clandestini fanno da comparse. Uno di loro, Selab, oggetto del suo amore. Tutto accade di notte, in un triangolo di strade al Pireo, alla vigilia di Capodanno.
Gli operai della Biohalkos sono in sciopero da tre settimane. Sul tetto della fabbrica, in piedi, un uomo nudo. La polizia circonda l´edificio, troupe tv piantonano l´ingresso. Un elicottero scende fino a trovarsi davanti all´uomo nudo. Un reporter commenta l´evento. L´uomo getta via i suoi abiti. Uno a uno. L´impeto del vento li fa danzare. E., la ragazza, lo guarda dalla strada. Una nave entra in porto con un fischio. In Piazza del teatro si riunisce la protesta, ogni sera. Selab è un giovane iraniano che era stato arrestato in una manifestazione contro il regime di Teheran. Appena uscito di prigione aveva passato la frontiera, è arrivato in Grecia da clandestino. Incontra E. a teatro. I figuranti dello spettacolo sono operai della compagnia amatoriale della fabbrica, e clandestini del campo profughi. Si prova. Brecht. L´Opera da tre soldi, la sfida alla decenza del pubblico borghese, la società dei miserabili e delle puttane: gli affari di chi fa affari non sono diversi dai delitti della malavita. «Che cos´è la rapina di una banca in confronto alla fondazione di una banca?».
In teatro si prova, in municipio c´è riunione del consiglio comunale. Una donna delle pulizie ha trovato nel seminterrato del palazzo comunale una bambina di colore che piange, abbandonata. Per strada una donna scippata rimane sull´asfalto, arriva l´ambulanza. Dentro, nella sala del consiglio, una rissa politica: la tv accesa dà in diretta le immagini dello scioperante sul tetto che adesso si butta. Si schianta a terra. Il morto. La troupe teatrale irrompe nella sala, annuncia che reciterà l´Opera il primo dell´anno con la partecipazione degli scioperanti delle fabbriche. C´è anche E. Sui banchi siede suo padre. La polizia fa sgomberare l´aula. La rappresentazione è un pretesto, dicono i politici: ci saranno sommosse. Bisogna radere al suolo il campo nomadi. Gli operai organizzano per il pomeriggio una marcia funebre per il suicida, i teatranti saranno con loro.
La marcia, la sera. La sepoltura sarà nella zona delle fabbriche abbandonate. Migliaia di persone accorrono. Ma ecco, all´altezza dell´accampamento dei clandestini afgani, il diluvio. La folla si disperde. Baracche di legno e nylon, teloni, spaghi. P. arriva con la jeep a cercare la figlia. L´acqua inonda la bidonville. Alluvione. Il feretro comincia a galleggiare, esce dalla porta di una baracca: il morto se ne va, urlano tutti. «Va verso il mare, come una vera nave…».
Selab ed E. hanno messo ad asciugare i vestiti a un fuoco, sono nudi in una baracca. Arrivano i bulldozer che devono abbattere il campo. Lei esce, nuda, li ferma sotto gli occhi luminosi dei fari che la circondano. Il padre la guarda dall´auto. Parte il corteo, sotto il telo che deve ripararlo dalla pioggia. L´immensa tartaruga che muove verso il centro della città. Di nuovo al porto, per l´ultima scena. I Tir pieni di clandestini stanno imbarcando, anche Selab ha pagato e trovato un passaggio. E. capisce che lui sta partendo, corre verso il Pireo. C´è un incidente, un immigrato muore travolto da un camion, non si capisce chi sia. P. insegue sua figlia sul molo. C´è uno sparo. Un altro morto. C´è qualcuno che parte, qualcuno che resta. Amedeo sta per ricevere il suo carico, a Bari, aspetta. L´altro Amedeo, quello vero, chiede che non si dica chi vive e chi muore, nel film, né come. Chiede che si faccia silenzio sull´ultima pagina del copione, pagina 74, ed ha ragione lui. È la storia di Theo, questa. La sua ultima storia, e se non ha finito di girarla è perché la vita è entrata dentro il film, e con la vita la morte. Non tutto si può raccontare, non di ogni cosa si conosce la fine. Al contrario, anzi. La fine come sarà davvero non la si conosce mai.

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