SPAGNA Il magistrato vittima di una scandalosa caccia alle streghe. Ieri era anche l’anniversario della strage degli avvocati comunisti di Atocha
SPAGNA Il magistrato vittima di una scandalosa caccia alle streghe. Ieri era anche l’anniversario della strage degli avvocati comunisti di Atocha MADRID. Un abbraccio. Persone che si ritrovano dopo anni di carcere, esilio, dolore. Nei difficili anni della transizione dal regime franchista alla democrazia, il quadro El abrazo di Juan Genovés divenne un manifesto che fu affisso dai militanti delle organizzazioni democratiche in tutta la Spagna, per rivendicare l’amnistia dei prigionieri politici. E si convertì nell’immagine-simbolo della lotta per la libertà e la giustizia.
Lo stesso abbraccio fu scelto, nove anni fa, per un monumento a ricordo delle vittime della strage fascista che costò la vita, il 24 gennaio del 1977, a quattro avvocati e un delegato sindacale, tutti vincolati alle clandestine Comisiones Obreras e al Partito comunista ancora fuorilegge. In memoria, cioè, del più feroce attentato contro persone impegnate nella lotta per restituire al paese iberico la libertà che il golpe militare del 1936 gli aveva tolto con la violenza. La stessa che continuavano ad utilizzare i pistoleri della destra falangista negli anni della tutt’altro che pacifica «Transición», dopo la morte di Franco.
Nella centrale piazza madrilena di Antón Martín, ieri mattina, attorno a quell’abbraccio si sono ritrovati in centinaia per celebrare il trentacinquesimo anniversario della strage degli «avvocati di Atocha», così chiamati dal nome della via dove si trovava il loro studio, a poche decine di metri da dove ora è posta la scultura. E nei discorsi degli oratori non è mancato il riferimento che ciascuno dei presenti si aspettava: proprio durante quella commemorazione intorno al simbolo della lotta per l’amnistia di tutti i militanti antifranchisti incarcerati dal regime, nel Tribunale supremo aveva inizio il secondo processo in meno di una settimana al magistrato Baltasár Garzón, quello per la «causa della memoria storica».
Il giudice istruttore, momentaneamente sospeso dall’incarico, è accusato di «prevaricazione», ossia di avere consapevolmente violato una legge nell’esercizio delle sue funzioni. E la legge in questione è proprio l’amnistia del 1977, che purtroppo aveva due facce. Cancellava sì tutti i reati politici compiuti prima del ritorno della democrazia, ma estendeva il «perdono» anche agli apparati dello Stato. Un compromesso – votato quasi all’unanimità dal primo parlamento liberamente eletto – che nei settori antifranchisti venne vissuto, all’epoca, come necessario, nell’ansia di «guardare al futuro». Il «patto dell’oblio» che ne derivò è durato per molto, fino a che la generazione dei nipoti dei combattenti repubblicani ha cominciato a voler tornare sulle vicende della guerra civile, rompendo il silenzio che circondava il destino di decine di migliaia di «rossi» fucilati sommariamente, dal giorno del golpe sino al 1951. Così cominciarono nel 2000 le prime ricerche di fosse comuni e le esumazioni, condotte grazie alle associazioni dei familiari delle vittime, sistematicamente ignorate dai poteri pubblici.
Nell’ottobre del 2008, Garzón decise di dare seguito alle loro denunce, cominciando la prima indagine giudiziaria della storia spagnola su quei crimini. L’apparente ostacolo della legge di amnistia per i criminali di Stato fu superato considerando quelle esecuzioni di massa dei crimini contro l’umanità e non «semplici» delitti politici, secondo l’esempio di casi simili nei paesi latinoamericani: le violazioni dei diritti umani – questo il ragionamento – non prescrivono e l’ amnistia del ’77 non li ha cancellati.
Aver rotto il tabù dell’oblio di Stato, però, è costato caro al magistrato andaluso. Due organizzazioni di estrema destra (un sedicente «sindacato di funzionari» chiamato «Mani pulite» e l’associazione «Libertà e Identità») denunciarono immediatamente Garzón per «prevaricazione», e le solerti toghe della più alta corte del paese, il Tribunale supremo, rinviarono a giudizio nel maggio del 2010 il loro collega, che rischia fino a vent’anni di interdizione, ossia l’espulsione de facto dalla magistratura. Al di là dell’opinione che si possa avere su Garzón e le sue a volte troppo spettacolari inchieste, il processo cominciato ieri è quindi un autentico scandalo, come affermato da Amnesty International e Human Rights Watch. Ed è la chiara dimostrazione delle difficoltà che la Spagna ufficiale continua ad avere nel fare i conti con il passato. Ne è convinto il presidente della «Associazione per il recupero della memoria storica», Emilio Silva, che vede, tuttavia, un paradossale aspetto positivo: «pur nell’assoluta gravità della vicenda, per la prima volta nel Tribunale supremo si discuterà dei crimini del franchismo. Come testimoni della difesa parleranno davanti ai giudici decine di familiari di vittime: in un’aula di tribunale si sentirà finalmente la loro voce», riconosce Silva. Prima della fine di questo giudizio arriverà probabilmente la sentenza di quello della scorsa settimana. Stessa accusa di «prevaricazione», ma per aver ordinato intercettazioni fra imputati e difensori: in entrambi i casi, il pubblico ministero chiede l’assoluzione.
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