Nuove strutture nelle regioni
ROMA — Una rivoluzione attesa da almeno dieci anni. La più grande dopo la legge Basaglia, la famosa Centottanta, che abolì i manicomi nel 1978. Entro il 31 marzo 2013 gli ospedali psichiatrici giudiziari dovranno chiudere. E i 1.500 internati che li abitano saranno trasferiti in strutture regionali dove la priorità non è la detenzione ma la terapia. Dove prima che al criminale si pensa al malato.
Nuove strutture nelle regioni
ROMA — Una rivoluzione attesa da almeno dieci anni. La più grande dopo la legge Basaglia, la famosa Centottanta, che abolì i manicomi nel 1978. Entro il 31 marzo 2013 gli ospedali psichiatrici giudiziari dovranno chiudere. E i 1.500 internati che li abitano saranno trasferiti in strutture regionali dove la priorità non è la detenzione ma la terapia. Dove prima che al criminale si pensa al malato.
Così il futuro tratteggiato dall’emendamento alla legge sulle carceri che dovrebbe essere votata tra oggi e domani al Senato. Un cambiamento di mentalità e non solo strutturale accompagna questo risultato inseguito con particolare ostinazione da Ignazio Marino, senatore pd e presidente della Commissione di inchiesta sul servizio sanitario. I filmati e la documentazione raccolta in due anni di lavoro sono stati mostrati anche al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha denunciato «l’estremo orrore inconcepibile in qualsiasi Paese appena appena civile». Il testo presentato da Marino assieme al relatore Alberto Maritati è stato approvato la scorsa settimana dalla commissione Giustizia.
A partire dalla data di «cessazione» degli ospedali giudiziari i vecchi e i nuovi detenuti saranno trasferiti in strutture residenziali con adeguati sistemi di sorveglianza e sicurezza. Stanziati rispettivamente 7 e 4 milioni per il biennio 2012-2013. «Un atto di civiltà e di scienza, finalmente una legge che parla di uomini e non di economia», esprime il suo entusiasmo Vittorino Andreoli, lo psichiatra che agli inizi del 2000 ha compiuto la ricognizione all’interno delle «discariche umane», dove chi non è folle lo diventa. Andreoli esulta soprattutto per una ragione: «Non è una chiusura ideologica, come quella decretata dalla Basaglia. Questo è un progetto realistico, che offre alternative concrete. La gente non deve avere paura».
Lo scempio di questi luoghi è documentato nell’indagine della Commissione Marino. Dimessi solo una parte dei 389 pazienti rinchiusi nei 6 manicomi carcerari (Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Napoli-Secondigliano), tra il 1° luglio e il 14 novembre del 2011 dichiarati non socialmente pericolosi. La percentuale dei dimessi oscilla tra il 20 e il 50% e il numero delle proroghe è quasi sempre superiore. Persone costrette dunque a vivere in condizioni che impediscono e rendono meno accessibile un percorso di riabilitazione psicofisica. Un esempio. Ad Aversa, uno dei luoghi più disastrati, gli psichiatri prestano la loro consulenza due volte a settimana. E gli internati sono 250. I metodi coercitivi (legacci al letto) non sono scomparsi ovunque. Nella sua relazione alla Camera il ministro della Giustizia Paola Severino ha espresso la necessità di «agire in via prioritaria e senza tentennamenti». Affermazione ritenuta non abbastanza decisa dall’Associazione Luca Coscioni.
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