Il 17 dicembre 2010 Mohamed Bouazizi si diede fuoco innescando la rivolta popolare, il 14 gennaio 2011 il dittatore Ben Ali scappò: molte cose sono cambiate … ma molte sono restate uguali. Un anno di grandi trasformazioni, ma anche di rabbia e delusioni: il paese è una polveriera
Il 17 dicembre 2010 Mohamed Bouazizi si diede fuoco innescando la rivolta popolare, il 14 gennaio 2011 il dittatore Ben Ali scappò: molte cose sono cambiate … ma molte sono restate uguali. Un anno di grandi trasformazioni, ma anche di rabbia e delusioni: il paese è una polveriera
TUNISI. «È tutto in movimento»: come un ritornello questa è la frase che torna più spesso sulle labbra delle persone che incontro. Tunisi, fine dicembre: si sta riunendo al palazzo del Bardo per la prima volta l’Assemblea costituente eletta ad ottobre, si sta formando il nuovo governo dopo lunghe trattative e tira-e-molla, vecchi organismi creati sotto Ben Ali stanno cercando di cambiare pelle e soprattutto funzionare in modo più trasparente. I tre partiti che fanno la parte del leone nei seggi alla costituente e nei posti da ministro (soltanto due donne elette, di cui una al Ministère de la femme ) sono Ennahda , di forte ispirazione islamica, il CPR ( Conseil pour la République ) et Ettakatol ( Forum des libertés ), di ispirazione laica e liberaleggianti. Fuori del palazzo del Bardo ci sono delle tende: mi fermo a parlare con due operai del gruppo che sta protestando da vari giorni con quella che ormai sembra la modalità più diffusa in questo fine 2011: accamparsi. Uno di loro, Ibrahim, parla un po’ di italiano. Vengono dal bacino minerario di Gafsa, città del sud-ovest, dove ci sono ben quattro stabilimenti della Compagnia generale dei fosfati (Cgp) che sta ristrutturando e licenziando. Lui è stato in Italia, a Padova, ma era un sans papiers ed è dovuto rientrare dopo due anni. Ma questa è solo una delle lotte che percorrono tutta la Tunisia: dopo un anno di grandi trasformazioni, di tante attese e speranze, moltissimi sono i giovani ancora disoccupati, la povertà è immutata e anzi la diminuzione delle entrate del turismo e il ritiro di molte imprese e investimenti stranieri stanno causando una crisi economica di grandi proporzioni. Oltre alla lotta dei minatori di Gafsa ci sono scioperi al porto di Gabes, il più grande del sud, che causano penuria di bombole a gas in tutto il paese, scioperi alla Tunis Air, proprio durante le feste di Natale, sit-in dappertutto. Il 15 e il 16 dicembre protestano gli operai (2200 addetti) dello stabilimento giapponese Yazaki di Om Larayes, sempre a sud, e per rappresaglia lo stabilimento viene subito chiuso. Il padronato denuncia perdite ingenti e impossibilità di soddisfare le commesse. Sulla stampa si leggono resoconti contraddittori: all’inizio di gennaio sembra che una parte delle maestranze saranno trasferite ad un altro impianto Yazaki a Gafsa. Vado al Ministère de la femme per incontrare la direttrice della Cooperazione internazionale: impossibile vederla. Domenica 19 dicembre esce un articolo su La Presse che denuncia una situazione di rivolta di tutto il personale del ministero contro la ministra uscente: pare che parecchi dei progetti in corso siano stati chiusi d’autorità. È da notare che la quasi totalità degli scioperi sono selvaggi, non annunciati, e spesso non appoggiati, a quanto leggo, dalla centrale sindacale principale, l’UGTT ( Union Générale du Travail de Tunisie ), il cui congresso era fissato per il 25-28 dicembre a Tabarka. L’UGTT , dopo una prima fase di incertezza, ha partecipato alla rivoluzione, soprattutto con i suoi quadri di base e con alcune delle sue federazioni (sanità, insegnanti…), ma al vertice sembra che sia stata abbastanza compromessa con il vecchio regime. Anche qui avviene ciò che succede in tutte le rivoluzioni, mi dice una militante che è stata per anni in prima fila nell’oppsizione al regime di Ben Ali: ora sembra che tutti abbiano fatto la rivoluzione, tutti rivoluzionari. Il 17 dicembre mi aggrego alla carovana organizzata da una delle formazioni storiche dell’opposizione al vecchio regime, l’ATFD ( Association Tunisienne des Femmes Démocrates ) diretta a Sidi Bouzid, dove si celebra l’anniversario del tragico gesto di Mohammed Bouazizi, il venditore ambulante che si è dato fuoco innescando la rivoluzione del 14 gennaio 2011. Purtroppo partiamo tardi ed arriviamo quando gli ospiti più illustri, tra cui il neoeletto presidente della repubblica Marzouki e il rappresentante dell’Unione europea se ne sono già andati. Le strade sono molto affollate da giovani e bandiere, alcuni sono arrampicati sui palazzi, dappertutto campeggiano le immagini di Bouazizi, che è stato anche dichiarato «personaggio dell’anno» dalla rivista Time : un suo enorme ritratto copre l’ intera parete di un palazzo. I ragazzi che organizzano il pranzo e ci servono un ottimo couscous hanno magliette nere con l’immagine di Bouazizi, ma l’atmosfera festosa si guasta nel pomeriggio, quando il banchetto con il materiale informativo dell’ATFD viene contestato da un gruppo di ragazzi tra cui alcuni barbuti (particolare che distingue i fondamentalisti islamici), e dobbiamo raccogliere tutto in fretta e dirigerci al pullman, dove ci raggiunge una accorata signora che cerca di calmare gli animi. Ma ciò che mi colpisce di più sono le testimonianze dei giovani che la sera, alla Maison de la Culture, denunciano delusione e rabbia. Dopo tanti sacrifici, le lotte pagate con la morte di tanti loro compagni, nulla è cambiato nelle loro vite, non sentono aprirsi nuove prospettive, sono sempre poveri e disoccupati: uno di loro racconta ancora di come è stato picchiato dalla polizia. La frustrazione si taglia col coltello. Poi si fa musica e si balla, ma amarezza e pericolo di nuove esplosioni sono palesi. Le statistiche dicono che nell’area di Sidi Bouzid il 48% dei «diplomés » è disoccupato. Nelle zone rurali, le donne che lavorano nei campi sono pagate 5 dinari al giorno, la metà degli uomini, e a volte partoriscono «sotto un albero e tornano subito a lavorare», mi dice Souhad Mahmoud, attivista dell’UGTT e dell’ATFD. Il governo installato a fine dicembre promette l’assunzione di 25.000 persone nella funzione pubblica, le organizzazioni internazionali hanno lanciato bandi per la presentazione di proposte di progetti di cooperazione, un’iniziativa di grosso respiro finanziata dalla Ue è appena stata varata con l’apporto tecnico dell’Organizzazione internazionale del lavoro. Ci sono almeno due progetti di cui ho notizia, già approvati , centrati sui «diritti», tra cui anche i diritti socio-economici, di cui si fa un gran parlare. Ma occorre far presto: il 6 gennaio un operaio in sciopero da settimane a Gafsa e accampato insieme a molti altri davanti alla sede del governorato si è dato fuoco ed è ricoverato in gravissime condizioni. La Tunisia di tutte le opportunità, in piena effervescenza post-rivoluzionaria, si può trasformare in una polveriera. Un altro aspetto di cui si parla molto è la presenza crescente, nella vita pubblica e per le strade, dei salafiti: un loro manipolo ha occupato l’ufficio del rettore alla Manouba, che dista circa 20 km dal centro di Tunisi, per varie settimane, finché è stato fatto sgomberare all’inizio di gennaio. La richiesta di una sala di preghiera era stata la scusa per la protesta iniziata a fine novembre, poi si voleva imporre il permesso, per tre studentesse, di indossare il velo nero integrale, il niqab, agli esami, proibito per legge. Mi è sembrata preoccupante l’assenza delle forze dell’ordine e la tolleranza verso gli intolleranti. Ma da dove spuntano questi barbuti , queste donne con i loro mantelli neri, quasi tutti giovanissimi? Una giurista, Salsabil Klibi, mi spiega: «È vero che il codice dello statuto personale vigente in Tunisia sin dal 1956 é molto avanzato ed è vero che le donne, sia con Bourghiba che con Ben Ali, godevano di molti diritti negati in altri paesi arabi. Ma i diritti erano “octroyés “, concessi: ora, i diritti concessi si possono anche ritirare, non sono qualcosa di conquistato e di garantito nella vita delle persone. E sotto la dittatura non ci si poteva esprimere: quindi questa apparente fioritura di islamisti non viene dal nulla, covava sotto la cenere. E certamente ci sono le influenze wahabite che vengono dal Golfo, ormai da più di dieci anni. Da come vedi orientate le padelle delle antenne satellitari puoi capire chi ascolta la predicazione via tv». Infine, un dossier aperto che ci interroga come italiani in modo angoscioso è quello dei migranti dispersi di cui non si ha più notizia da mesi. Un articolo La Presse del 20 dicembre parlava di quasi 15.000 tunisini partiti e di altre migliaia spariti nel nulla. Si sa soltanto che 12 sono morti tra le fiamme dei Cie incendiati per protesta. Le associazioni dei famigliari chiedono che il ministero degli interni italiano, finalmente libero da Maroni e soci, se ne occupi seriamente. Le carte d’identità tunisine contengono le impronte digitali, che anche all’arrivo a Lampedusa venivano richieste. Non dovrebbe quindi essere così difficile, volendolo, rintracciare chi a Lampedusa è arrivato sano e salvo. Possiamo almeno riscattare parzialmente la disumanità mostrata nei mesi passati, quando poche decine di migliaia di profughi ci chiedevano aiuto e non abbiamo saputo e voluto rispondere, mentre le centinaia di migliaia di rifugiati via terra provenienti dalla Libia hanno trovato accoglienza nel sud della Tunisia. Anche così si può appoggiare la Tunisia della rivoluzione.
0 comments