Virginia Woolf, cavalcando fra continenti e cambi di sesso

In scena / «LA COMMEDIA DI ORLANDO»
Una fiaba accattivante fuoriuscita dal romanzo della scrittrice

In scena / «LA COMMEDIA DI ORLANDO»
Una fiaba accattivante fuoriuscita dal romanzo della scrittrice CAGLIARI. Il romanzo di Virginia Woolf Orlando è davvero un unicum letterario, in cui la grande scrittrice rinnova insieme la struttura e il contenuto del racconto: il personaggio del titolo è un gentiluomo di corte elisabettiano seguito lungo i 400 anni della sua vita, fino all’epoca di Bloomsbury appunto, durante i quali cresce, scrive l’opera della sua vita che gli darà il successo (il poema La quercia) e nell’800 si trasforma da maschio in femmina, continuando il suo percorso di conoscenza e contemporaneamente di fascino sul resto del genere umano. La tentazione di rendere spettacolo quell’esistenza è quasi naturale, e lo fa ora Emanuela Giordano, che ne ha curato la riduzione e ne firma la regia, col titolo La commedia di Orlando (teatro Massimo, nella stagione del Cedac, fino a domenica con replica alle 19).
Protagonista qui, in un ruolo tanto delicato quanto impegnativo, è Isabella Ragonese, che torna al teatro nonostante sia una delle attrici più richieste dal grande schermo. Del resto è vero che proprio quel personaggio costituisce una grande tentazione: al cinema quasi vent’anni fa è stata la volta di una superba Tilda Swinton, ma proprio sul palcoscenico Orlando è stata una sorta di alter ego per lunghi anni per Bob Wilson, che applicava le sue geometrie mentali e visive a un intreccio così affollato e composito, con risultati spesso eccezionali: la prima volta in tedesco, con una regina delle scene europee Jutta Lampe; poi in Francia con Isabelle Huppert, poi a Londra con Miranda Richardson e perfino a Taipei con una star proveniente dall’Opera di Pechino. Non c’è mai stato per Wilson un Orlando italiano, ma ci pensa ora, con tutt’altre suggestioni, lo spettacolo di Ragonese e Giordano.
Che infatti si ispira a quella incomprimibile vitalità e curiosità che il personaggio muove, agli aspetti quasi fiabeschi che il racconto suscita e attraversa, e non passa in sott’ordine, per una interprete lucida come l’attrice, l’aspetto femminile, antropologico e sociale, che nasce dalla passione complice e consapevole (e liberamente vissuta) di Virginia Woolf per Vita Sackville West, cui la scrittura e la concezione stessa del testo furono dedicati. Isabella Ragonese si era del resto dedicata l’anno scorso a un testo di Will Eno che rappresentava della complessità contemporanea l’aspetto «femminile» (quello maschile lo aveva portato in scena poco prima Elio Germano): qui l’affresco sembra dilatarsi, in un dispiegarsi però di leggerezza e fascinazione di cui va dato atto anche al lavoro di Emanuela Giordano.
La fiaba è semplice, a dispetto dei paradossi. Poche assi, luci di tonalità calde, e un gruppo di famiglia, due ragazze due giovanotti e una tutrice (bravissima, complice quanto autorevole), che seguono il mitico Orlando alla corte di Elisabetta prima, e poi nelle peripezie reali o fantasticate attraverso i secoli, i continenti, i sessi. La mancanza di scandalo rende bene la ricerca di una moralità nuova e libertaria, così come la scrittura (anche per chi è analfabeta) viene eletta non solo a massima aspirazione, ma anche a concreta sponda di massima felicità.
Così che lo spettacolo si presta a letture su tanti piani diversi, e tutti leciti. Se passa in secondo piano il progetto intellettuale di Virginia Woolf, è ancor più sicuro che lo spettacolo spingerà molti spettatori a leggere il libro, e ad assumerne il contenuto. L’identificazione di Isabella Ragonese, che senza nessun divismo dà una magnifica prova d’attrice, aiuterà ad accettarne i presupposti, così come a rimuovere le sbavature e gli eccessi, retaggio del debutto appena avvenuto.

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