Joyce, le tre epifanie che sconvolsero il ’900

Una nuova biografia mette in rapporto la vita dell’autore irlandese con il suo mondo letterario

AGOSTO 1898 A 16 anni, una sera viene sedotto da una prostituta: e l’oscurità  diventa una fonte di eccitazione
16 GIUGNO 1904 Nella Nassau Street di Dublino l’incontro fatale con Nora, la musa che ispirerà  l’Ulisse
17 APRILE 1932 Dopo una crisi della figlia i temi della personalità  disturbata entrano nella Veglia di Finnegan

Una nuova biografia mette in rapporto la vita dell’autore irlandese con il suo mondo letterario

AGOSTO 1898 A 16 anni, una sera viene sedotto da una prostituta: e l’oscurità  diventa una fonte di eccitazione
16 GIUGNO 1904 Nella Nassau Street di Dublino l’incontro fatale con Nora, la musa che ispirerà  l’Ulisse
17 APRILE 1932 Dopo una crisi della figlia i temi della personalità  disturbata entrano nella Veglia di Finnegan
Londra. Una biografia è un romanzo che promette di dire la verità; i romanzi di solito sono autobiografie inaffidabili, avvalorate dal credo aristotelico che la poesia è più vera della storia. Per Gordon Bowker – l’autore di James Joyce – A Biography, da poco uscito a Londra -, «i racconti di Joyce sono fortemente autobiografici e perciò hanno dato forma a ciò che lui si prefiggeva scrivendo e presentandosi al mondo come artista». Gente di Dublino ebbe effettivamente molte difficoltà a trovare un editore a causa delle minacciate denunce di diffamazione, ma introdusse la sua rivoluzionaria tecnica narrativa. Il Ritratto dell’artista da giovane è un’ampia confessione fatta da Joyce, che rigettò violentemente il cattolicesimo ma non l’educazione gesuitica che aveva ricevuto. Ulisse porta il lettore in un giro di 24 ore attraverso i monologhi interiori di Stephen/James e dell’ebreo Leopold Bloom, l’uomo qualunque, per le strade di Dublino il 16 giugno 1904 – il fatidico giorno in cui Joyce/Dante incontrò Nora/Beatrice. La veglia di Finnegan è un’onda travolgente di giochi di prestigio verbali, che parte da vecchi miti per crearne di nuovi, e sibillini. Come disse lo stesso Joyce, « Ulisse tratta di un giorno e una notte di mente consapevole; La veglia di Finnegan invece della mente inconsapevole, del sonno di un’unica notte di un personaggio polimorfo».
Bowker ha cercato di spiegare al lettore questi complessi alter ego con il contesto biografico di un uomo pieno di contraddizioni nei confronti dei suoi genitori e dell’Irlanda, di cui aborriva la romantizzazione. Un uomo cresciuto nel culto del nazionalismo irlandese che però odiava l’Irlanda folkloristica clericale che esso aveva creato; un uomo che adorava la lingua inglese ma la sovvertì e la reinventò; un uomo ambivalente anche nei confronti della Gran Bretagna, dove si recò, a differenza dell’Irlanda dopo il 1912, e di cui rimase cittadino.
Bowker mette a confronto Yeats e Joyce: «Yeats è figlio dell’influenza protestante, affascinato dall’aristocrazia e dalla superstizione contadina. Joyce proviene dalla piccola borghesia cattolica ed è incuriosito dal demi-monde dublinese; Yeats abbraccia la bellezza della natura, Joyce è attirato dalla bruttezza della città; Yeats vede Omero come l’autentica espressione della grande arte, Joyce preferisce Dante e il viaggio all’inferno andata/ritorno. Erano due forme diverse di intelligenza creativa – l’originalità di Yeats modellata da considerazioni di forma poetica, Joyce sempre voglioso di traboccare in forme oltre la forma. Yeats era devoto al nazionalismo culturale, che invece Joyce considerava un tradimento del genio poetico».
Bowker illumina tre nuovi aspetti di Joyce. Vivendo a Trieste, Joyce vede delle analogie tra la situazione difficile di Dublino e quella di Trieste, città italiana in mezzo a un impero austro-ungarico che le è estraneo, mentre i suoi tanti amici e studenti ebrei non praticanti, come Italo Svevo – cui si ispirò per Harold Blooom – sono simili agli irlandesi sradicati che hanno dimenticato la loro cultura.
Bowker vede anche nella sua vita tre di quelle che Joyce chiamava «epifanie». Nell’agosto 1898, quando era un pio gesuita sedicenne con una forte vocazione religiosa, si era eccitato giocando e tornando a casa era stato sedotto da una prostituta. Da quel momento l’oscurità non fu più il covo dei malvagi ma qualcosa di eccitante oltre ogni immaginazione e la vocazione artistica soppiantò quella sacerdotale.
Il 16 giugno 1904, nella Nassau Street, a Dublino, calamitato da una lussureggiante testa di capelli rossi, si levò il cappello da marinaio e convinse la scaltra incantatrice a incontrarlo di nuovo. Il maestro era appena inciampato nella sua musa irlandese, e il corso della letteratura del XX secolo era cambiato.
Domenica 17 aprile 1932, sui binari per Calais della Gare du Nord di Parigi, una ragazzina all’improvviso si mette a strillare e urlare in modo incontenibile. Anziché partire per Londra, padre madre e figlia restano a Parigi. Dopo questa scenata fatta dalla figlia Lucia, mentalmente instabile – che poi sarà respinta dal segretario del padre, Samuel Beckett – il lavoro di Joyce intorno alla Veglia di Finnegan rallenta fin quasi a fermarsi. «Quando riprese», scrive Bowker, «i temi della personalità disturbata avrebbero cominciato a intrecciarsi nel testo, lasciando Joyce aperto all’oscurità e ai sospetti pruriginosi».
A chi gli chiese, dopo la Rivolta di Pasqua del 1916, se aspettasse con ansia una Irlanda indipendente, Joyce rispose: «Sì, in modo da potermi dichiarare il suo primo nemico». Dopo il 1922 si rifiutò di appoggiare lo Stato libero d’Irlanda o di entrare nell’Accademia irlandese delle Lettere. Di fatto, se fosse tornato alla realtà della sua fantasticata Irlanda, sarebbe stato arrestato per oscenità. E quando la moglie Dora, sul letto di morte a Zurigo nel 1941, offrì di rimpatriare il corpo del più grande scrittore irlandese – nonostante i Nobel G. B. Shaw, W. B. Yeats, Samuel Beckett e Seamus Heaney – il governo clerical-nazionalista del primo ministro De Valera rifiutò l’offerta. Odio puro, che Joyce avrebbe gustato!
Traduzione di Marina Verna

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