I tormenti dell’ultimo Orwell: voleva cambiare «1984»

Si accettano scommesse, ma c’è da credere che (persino al tempo di Facebook e dintorni) quel titolo che ha già  fatto la storia della letteratura universale sia ancora il più indovinato. E che, nonostante le confessioni a sorpresa (affidate ad una lettera siglata dallo stesso autore «Yours George», Tuo George) messe in rete dal sito anglosassone «Letters of note», 1984 valga pur sempre molto di più di quel The last man in Europa (ovvero L’ultimo uomo in Europa) a quanto pare a lungo in ballottaggio, appunto, con Nineteen eighty-four.

Si accettano scommesse, ma c’è da credere che (persino al tempo di Facebook e dintorni) quel titolo che ha già  fatto la storia della letteratura universale sia ancora il più indovinato. E che, nonostante le confessioni a sorpresa (affidate ad una lettera siglata dallo stesso autore «Yours George», Tuo George) messe in rete dal sito anglosassone «Letters of note», 1984 valga pur sempre molto di più di quel The last man in Europa (ovvero L’ultimo uomo in Europa) a quanto pare a lungo in ballottaggio, appunto, con Nineteen eighty-four.

A rivelare l’incertezza è dunque lo stesso George Orwell (1903-1950) che quel romanzo («prototipo avveniristico di un mondo terribile») lo avrebbe pubblicato nel 1949. Anche se c’è da credere che a suscitare più scandalo saranno forse i commenti (assai velenosi) di Orwell su Sartre. La lettera è datata 22 ottobre 1948, viene scritta da Orwell mentre si trova a Jura (Isole Ebridi, al largo della Scozia) ed è indirizzata al suo editore, Frederic Warburg. In quel momento lo scrittore sta lavorando alla prima bozza del suo capolavoro (sarebbe morto di tubercolosi due anni dopo, l’anniversario della scomparsa è giusto tra qualche giorno, il 21 gennaio): «Ho appena ricevuto il saggio di Sartre sull’antisemitismo che tu hai pubblicato (si tratterebbe di Réflexions sur la Question Juive edito nel 1946 ndr) — dice —. Penso che Sartre sia soltanto un pallone gonfiato (letteralmente «a bag of wind» ndr). Adesso ci penso io a lui!».
Tornando a 1984, quella lettera (rilanciata attraverso il sito italiano «Corriere della Fantascienza» a pochi giorni dalla chiusura dell’edizione 2012 dell’Orwell Prize per il libro politico) potrebbe intitolarsi anche «il tormento e l’estasi», sulle orme di Michelangelo. Ed è un tormento che solo superficialmente sfiora il titolo perché al «Caro Fred» (l’editore Warburg appunto) lo scrittore della Fattoria degli animali affida più che altro considerazioni sul romanzo: «Non sono soddisfatto del libro, ma nemmeno insoddisfatto. L’idea mi è venuta nel 1943 e penso che sia buona, ma forse il risultato sarebbe stato migliore se non fossi malato di tubercolosi». Dopo aver accennato ai dubbi sul titolo (con Orwell che sembra ugualmente «indeciso» tra le due possibilità) si passa oltre, a questioni più pratiche, anche se pur sempre da scrittore. Ad esempio, alla copiatura: «Mi vengono i brividi al pensiero di dover battere a macchina il testo, un compito non facile stando a letto» (dove confessa di trascorrere metà del suo tempo). E alla lunghezza (forse eccessiva?): «Il libro è lungo, maledettamente lungo. Penso siano centomila parole, forse centoventicinquemila». O, ancora, alla sua «idiosincrasia» per la carta-carbone.
Orwell sembra assai tormentato: «Non posso spedire il materiale perché è tremendamente disordinato» (così sarebbe impossibile «trovarne capo o coda»). Ma, quasi a voler rassicurare l’amico, aggiunge: «Un’abile dattilografa sotto la mia supervisione potrebbe sbrigare il lavoro velocemente. Conosci qualcuno che potrebbe venire qui? Ti manderei i soldi per il viaggio e tutte le istruzioni per arrivare». Ultima nota, non propriamente letteraria, ma forse più convincente: «Qui c’è tanto cibo. Ed è un posto caldo e confortevole per lavorare».

 

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